Sbagliando s’impara. Anzi: sbagliando si crea. Cosicchè d’ora in poi nessun apprendista – sia esso sui banchi di scuola, sul tavolo del carpentiere o in un summit di manager – avrà più il timore di sbagliare risposta. O di formulare una domanda inesatta. Perchè la storia racconta che tante scoperte sono nate grazie agli errori dei loro inventori. Come quella volta che Colombo, navigatore italiano, pensava di raggiungere le Indie e non s’accorse d’aver fatto emergere dall’anonimato l’America. O come la sorte capitata al grande Einstein: troppo spesso lodato e cantato nelle aule scolastiche, pochi docenti insegnano che quasi un quinto dei suoi articoli pubblicati contiene errori significativi. E’ intrigante pensare che la genialità di tante scoperte si debba alla capacità di sbagliare di coloro che le hanno brevettate.
Così a Parigi, in piena grandeur francese, hanno dato vita in questi giorni addirittura ad un Festival dell’Errore dove s’incentivano i bambini a percorrere strade inedite, arrischiare risposte creative, uscire dalle strade già battute. Dove s’insegna a sbagliare per poter creare qualcosa che rompa la routine del quotidiano. Perchè in ogni errore abita la possibilità di veder nascere una nuova storia, che altro non sarebbe se non la novità di arrivare ad un risultato inaspettato e imprevedibile percorrendo un sentiero inedito e apparentemente assurdo. L’ennesima conferma che in tempo di crisi – economica, di pensiero e d’immaginazione – qualcuno inizia a partorire proposte che dietro l’apparente assurdità nascondono il desiderio di colorare un nuovo modo di vivere.
Nell’epoca preistorica della scuola – imprigionati nei dettati, nei quiz a risposta chiusa e nelle paroline mancanti da inserire – di errore si poteva soccombere: cosicchè nella nostra mente si sedimentò la spaventosa associazione tra errore e bocciatura, errore e fallimento, errore ed eresia. Errore e frustrazione. Per secoli quando la maestra vedeva il bambino scrivere “l’ago di Como” – al posto del celebre lago cantato dal Manzoni – lo rimarcava all’inverosimile nell’ora della pagella: senza minimamente pensare che nella città di Como, magari a sua insaputa (le maestre, come i preti, non possono pretendere di conoscere sempre tutto), il bambino stava immaginando una bottega dove si costruivano i migliori aghi del mondo. Tanto che l’ago di Como era nella sua mente l’ago per antonomasia. Come il Prosecco di Treviso, la porchetta di Ariccia, il Nero d’Avola o il tartufo di Quadri. Come tante espressioni oggi comuni affondano la loro origine in “concessioni poetiche” che, formalmente, sarebbero stati errori eclatanti di costruzioni linguistiche. Tacciare quell’errore del bambino era come voler mettere un limite alla sua capacità immaginativa, alla sua possibilità di esplorare il mondo, alla sua astuzia di aprire botteghe d’aghi su rive piene di barche.
Occorre una certa fantasia e una buona dose di visione per immaginare un mondo che sappia creare attraverso l’elaborazione dell’errore. D’altronde tutti insegnano a tutti come fare per diventare vincitori. Chi non riesce, però, si trova spiazzato: perchè nessuno insegna a nessuno come si faccia a diventare perdenti.
La nozione esatta, la dimostrazione perfetta, la poesia ripetuta a memoria: in questo scrigno è conservato da secoli il brevetto della ghigliottina che taglia in due l’umanità. Scordando che un lago può anche diventare un ago: basta non farsi vincere dalla noia della perfezione.