“Ambrogio vescovo” si dice sia il grido fanciullo che, nel lontano 374, squarci l’incertezza sul nuovo episcopato, ma non la ritrosia del ricalcitrante Ambrogio. Il quale, infatti, tenta la fuga, incitando il quadrupede a cui si era affidato con un sonoro «Cor, Betta!», che, ancor oggi, pronunciato, rigorosamente, tutto attaccato, designa un quartiere meneghino. Non gli basterà. Sarà raggiunto e costretto ad accettare la carica episcopale, che gli era offerta.

Un romano illustre, a Milano

Ambrogio aveva i suoi buoni motivi per non accettare. Non solo non era sacerdote,ma neppure… battezzato! Era infattiun alto funzionario romano, un bravo diplomatico lo definiremmo oggi ed era proprio ka sua abilità nel portare pace fra fazioninin lotta che spinse la folla a volerlo vescovo. Dal conto suo, pur essendo cristiano, di trattava di un’epoca in cui ancora erano in corso prove di pacifica comvivenza tra pagani e cristiani, dopo i primi editti (311 e 313) che avevano sancito la liceità del culto cristiano.

Il Battesimo come ultimo atto

A quell’epoca, poiché non rsusteva il sacramento della penitenza come lo conosciamo oggi (un colloquio privato e ripetibile, con il confessore) l’unico sacramento che offriva la purificazione dai peccati personali, oltre che dal peccato originale. Pertanto, al contrario di qusnto è abituale tra i cristiani ancora oggi (tradizione iniziata proprio nelle famiglie cristiane che volevano assicurare il prima possibile il Battesimo ai figli, in un periodo in cui la mortalità infantile era molto alta), i orimi cristiani tendevano a procrastinare il Battesimo ladciandolo come sacramento da amministrare in prossimità della morte, per ‘lavare’ il maggior numero possibile di peccati

Le lacrime del vescovo Ambrogio

“Non permettere che si perda, ora che è vescovo, colui che, quand’era perduto, hai chiamato all’episcopato, e concedimi anzitutto di essere capace di condividere con intima partecipazione il dolore dei peccatori”.


Questa la preghiera che ci lascia s. Ambrogio, una volta diventato vescovo (dopo aver velocemebte recuperato i sacramenti precedenti…).

Il dolore per il peccato e per il peccatore

Alla nostra epoca, semvra una preghiera strana, quasi incomprensibile. Troviamo difficile provare empatia rispetto al peccato. Un conto è il dolore, fisico o spirituale, per una malattia o per un lutto. Ma il peccato è una sofferenza? Fatichiamo a vederlo come tale, se lo viviamo in modo ‘precettistico’. Ma se lo sperimentiamo come ciò che ci allontana da Dio, l’unico Amore che riesca ad amarci, per primo e senza contraccambio, ecco che signifuca perdere l’occasione di bellezza autentica più preziosa che esista. Come non piangere… di gioia, di fronte a questa bella notizia?

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