L’estate s’accalora e mette in disparte i quesiti dell’esistenza, quelli che nel quotidiano vivere costituiscono la nostra grammatica per tentare d’ingegnarci la storia. Sta facendo capolino la terza estate di crisi, anche se a leggere le notizie da più di un semestre l’Italia ne è fuori: forse il mondo visto dall’alto dell’elicottero dei Palazzi Romani produce qualche distorsione della visuale. Ma si sa: quando s’apre il sipario della politica, ogni teatrante cerca di costruire il coup de théâtre che gli valga la gloria di una riga notiziaria. Nell’altro mondo, invece, quello che all’elicottero preferisce il passeggiare tra le strade del mondo, la crisi permane: con la sua affaticata presenza, le sue richieste esorbitanti, i suoi tagli preventivi. Permane da così tanto tempo che oramai anche gli spiriti più ottimisti iniziano a capire come essa nei prossimi anni non sarà più da archiviare come un fenomeno di transito ma come l’apparizione di un nuovo stile di vita, la condanna ad imparare una nuova grammatica del mondo.
C’era una volta un treno che viaggiava ad altissima velocità: e tutto il mondo sognava di salirci per giungere in quegli orizzonti che alcuni improvvisati Ulisse additavano come il futuro prossimo dell’umanità. Il Novecento mondiale ha registrato paurose accelerate nel campo della medicina, della genetica, della scienza in generale. Certamente anche del pensiero: fino a trattare l’Eterno da clandestino pur di mettere l’uomo a garante dell’universo. Ora la storia, violentata da accelerazioni che non l’hanno lasciata esente da fratture insanabili, presenta all’uomo il suo conto. Come una montagna che, immobile da millenni, un giorno si stiracchia e manda all’aria l’esperienza di navigati alpinisti, lasciando come eredità il sentore d’aver esagerato nello stuzzicarla. Oggi il linguaggio e le prospettive umane sono oramai da mettere sempre al vaglio della crisi che sta investendo l’esistenza: le si chiede il permesso per fare un viaggio, per idearsi una vita, per tentare la sorte. O, forse, semplicemente perché senza interpellarla si finisce con l’aver fatto piacevolmente il suo gioco.
Fra non molto tempo il termine “crisi” diverrà sinonimo di stile di vita: perché anche il modo di ragionare, di progettare e di pensare deve fare i conti con le risorse umane ed economiche che si possiedono. Con l’aggravante che da un periodo di floridezza, non solo economica, dobbiamo accettare di passare ad un gradino più basso, dove la vita si trova rallentata, tante possibilità ostacolate, il pensiero della megalomania un po’ lontano. Non sappiamo che futuro c’aspetta: certamente quella dei nostri giovani sarà la prima generazione che crescerà chiedendosi a gran voce non tanto che tipo di futuro ci sarà, ma se ci sarà un futuro, perché quando un piatto di vivande viene azzannato da un maleducato, a chi lo seguirà non rimarrà che contemplare i rimasugli lasciati nella ceramica. Ma certamente il prossimo sarà un decennio in cui saremo costretti ad accendere risorse che s’erano addormentate, talenti inespressi, riscoprire una creatività libera che possa ridare significato al nostro esistere.
Imparando, umilmente, una grammatica e un alfabeto tutto nuovo dove ogni termine nel quale ci s’imbatterà non farà altro che ricordare all’uomo la necessità di tradire le vecchie categorie sulle quali s’erano poggiate tante aspettative.
Per ricalcolare sapientemente la rotta.