Non credo più, da tempo, alla poesia del calcio. L’ultimo poeta in grado di farmi (ri)battere il cuore è stato Roberto Baggio. Non credo nemmeno più alla magia di quell’incantevole sport ch’è il ciclismo: la sera del funerale di Marco Pantani mi resi conto che un dèmone dannato aveva iniziato la persecuzione. Resto legato al mondo dello sport, però, come un’ostrica allo scoglio: gli devo pomeriggi interi di un’infanzia bellissima, l’avermi dato una regola di vita, avermi fatto dono dei sogni. Non credo più alle prestazioni: credo ancora negli uomini che lo frequentano. Soprattutto – pare un contrasto solo scriverlo – a quelli che, abitandolo, falliscono il bersaglio. Geni maledetti, inchiodati ad un gesto, cuori svalvolati che dilapidano patrimoni di talenti ricevuti dalla natura gratuitamente.
La galera – questo stadio di anime vaganti in cerca di luce – mi insegna che, talvolta, per trovarsi davvero è urgente perdersi: la luce s’inizia ad amarla quando si subisce sulla pelle un corto circuito. La (dis)avventura di un campione come Nicolò Fagioli ha troppe somiglianze con le vite deragliate della gente di galera: “Com’è iniziato? Tutto per gioco: mi stavo annoiando. Adesso son qui!”: è un mantra che risuona dentro le celle delle galere. Celle popolate di minacce, ritorsioni, paura, sciocchezze. Di un gioco che da passione infiammata diventa azzardo mortale. Ma che, comunque, mantiene la sua verità: «Si può scoprire di più su una persona in un’ora di gioco che in un anno di conversazione» scrisse Platone che rivalutava il gioco come forma di conoscenza dell’animo umano. Le notizie che Nicolò manda dal tunnel della disperazione sono, comunque, di una consolazione per nulla insignificante: il ragazzo ha chiesto aiuto, ha ammesso il dramma, ha condiviso la paura. Ha riconosciuto che non era quello il gioco che, da piccolo, gli ha fatto prendere un pallone per colorare la vita. Gonfiare la rete.
E bastato l’annuncio della notizia per crocifiggerlo: gli “urrà” degli stadi son diventati i “buuu!” del giudizio. Distruggere un giovane è semplice: basta ridurlo ad un errore che ha commesso e la vita gli apparirà un’inutile risalita. Eppure la vita di Nicolò può davvero diventare una “scommessa” e sbeffeggiare il mondo assurdo delle scommesse clandestine: scommettere che chi sbaglia, comunque vada, non ha consumato in quell’errore tutta la sua grandezza. E da lì ripartire, rischiando di diventare più credibili perchè sfrontatamente umani da sbagliare e ammetterlo. Dopo aver chiesto aiuto e aver pagato al gossip il compenso della macelleria mediatica. Che è diventata il primo sport nazionale, il più eccitante.
(da Specchio de La Stampa 22 ottobre 2023)
2 risposte
Bravo don Marco… Condivido e spero lui riesca a passare oltre, al meglio..
Si sbaglia e si ripara. Poi si riparte.
Un abbraccio
Anni fa , all’incirca 25 , abbiamo vissuto il dramma ( di mio padre) del gioco d’azzardo , e il dramma di aver a che fare con i ” creditori ” di papà. Due giorni prima che morisse, papà, in ospedale mi chiese scusa , per quegli anni terribili , e dopo non averlo perdonato per molti anni , proprio in quei due ultimi giorni, gli risposi : “perdona me per tutto il rancore e la rabbia che ti ho vomitato , ti voglio bene papà! ” So benissimo che non fu merito mio , l’artefice fu Gesù , e mi rendo conto che lo ringrazio troppo poco , per il fatto che mi stia preservando da certi drammi . La parabola che più mi penetra nel mio profondo, guarda caso è il figliol prodigo.