Grata felicità_ panorama mozzafiato

Se “la fedeltà nel tempo è il nome dell’amore”1, questo è anche il nome che prende Dio, fedele nel suo amore, contro ogni infedeltà. Israele raggiunge ricchezze di cui non è artefice: la divina alleanza si dispiega in una gratuità donata. Ascoltare la Parola, ricordare la Promessa: la Legge non è il giogo cui Dio costringe l’uomo, ma una strada, che ha per meta una grata felicità.

La sintesi di Dio

«Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo» (Dt 6, 4)

Questa la sintesi della fede monoteistica del pio israelita, che, ancora oggi, è recitata, mattino e sera, da milioni di ebrei. Eppure, su questo punto, nessun cattolico avrebbe da eccepire. Andrebbe più in là, eventualmente. Perché c’è Gesù Cristo: non solo un profeta, ma vero Dio e vero uomo.

Ascolta!

Eppure, più ancora della professione di fede, di fondamentale importanza è la prima parola: un verbo. Un imperativo, che è un appello accorato. A fare una cosa difficilissima: ascoltare. E, per ascoltare, non è così lapalissiano ricordarlo, occore fare silenzio. Non si ascolta nel frastuono, affaccendati, sprofondati in un’incalzante agenda.

La prassi, in poche parole

«Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l`anima e con tutte le forze» (Dt 6, 5)

Questa formulazione ci suona familiare, anche se non siamo avvezzi a sfogliare l’Antico Testamento, perché la ritroviamo nel Nuovo: è quella che fornisce il dottore della legge, in risposta al rabbi di Galilea, dopo che il primo aveva domandato cosa si dovesse fare, per ereditare la vita eterna2.

Sappiamo anche il seguito, con quella domanda su “chi è il mio prossimo”, che smette di escamotage per scantonare dalla propria responsabilità di fronte alla vita, nel momento in cui il buon samaritano mostra uno sguardo diverso sulla misericordia3.

Tutto

Tutto il cuore, tutta l’anima, tute le forze. Tutto, senza eccezioni. Senza sconti. Interalmente. Fino all’ultima goccia. Di sangue, di sudore, di fatica, di umanità. Di divinità. Come Cristo, su quella Croce, da cui scelse di non scendere, pur potendolo fare. In quel “tutto” c’è Dio che legge, nell’animo umano il suo desidero di totalità. Perché non ci bastano le parole. Né soltanto i gesti. Il nostro desiderio affonda nella necessità di sentirci amati a prescindere, non in base ai risultati, ai progetti, alla produttività, alla nostra spendibilità. Solo perché siamo noi. Solo perché esistiamo.
Eppure, anche se abbiamo sperimentato l’amore gratuito sulla nostra pelle e ne abbiamo percepito il valore e l’importanza, quanto è faticoso dedicare, agli altri, la stessa attenzione e la medesima gratuità.

Alla scuola di Cristo

Serve andare alla scuola di Cristo. Osservare le sue mani, che agiscono. I suoi occhi, che si posano, con delicatezza, su ogni creatura, regalando uno sguardo come una carezza per ogni sofferenza. Le sue parole: nette, precise, coerenti, liberanti. Il suo animo vigoroso, che non teme le defezioni, domandando un beffardo, libero “Volete andarvene anche voi?”, quando le sue parole avevano fatto masticare amaro più d’un suo uditore4. Solo alla scuola di Cristo, impariamo l’amore che lascia liberi da ogni ricatto.

Non dimenticare!

«Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte.» (Dt 6, 8-9)

Allora, non esisteva il reminder dello smartphone, né la funzione “snooze” nella sveglia. Non c’erano nemmeno le sveglie, se vogliamo essere puntigliosi. E allora, come fare a ricordarsi le cose importanti? Come si è fatto in precedenza? Usando altri strumenti mnemonici. Scrivere, nei punti di passaggio (gli stipiti delle porte), tenere davanti agli occhi ciò che ci ricorda l’amore di Dio (i tefillin – o, filatteri – : delle scatoline di cuoio, contenenti i brani della Scrittura in cui se ne parla, con cui, ancora oggi, gli ebrei si cingono un braccio e la testa, durante la preghiera).

Non l’hai fatto tu!

«Quando il Signore tuo Dio ti avrà fatto entrare nel paese che ai tuoi padri Abramo, Isacco e Giacobbe aveva giurato di darti; quando ti avrà condotto alle città grandi e belle che tu non hai edificate, alle case piene di ogni bene che tu non hai riempite, alle cisterne scavate ma non da te, alle vigne e agli oliveti che tu non hai piantati, quando avrai mangiato e ti sarai saziato, guardati dal dimenticare il Signore, che ti ha fatto uscire dal paese d`Egitto, dalla condizione servile» (Dt 6, 10-12)

Tante cose, tutte belle: nessuna dipende da te. Quanti sentieri abbiamo calpestato, la cui realizzazione si perde nella notte dei tempi? Uomini senz’alcuna tecnologia, che non fosse la forza delle proprie braccia e l’ingegno umano, hanno scavato, dissodato, spianato, affinché tanti luoghi potessero essere percorribili e le distanze tra le persone diventare opportunità di incontro e non invalicabili separazioni. Loro hanno faticato e noi ne raccogliamo i risultati. Panorami mozzafiato: montagne inneviate, praterie sconfinate, vette da conquistare, oceani da solcare… guardarci intorno, ci apre gli occhi sull’illusorietà della nostra autonomia. Nulla ci appartiene davvero. Tutto ci è dato in prestito. Volontà di umiliazione? No: necessità di liberante gratitudine, di fronte alla gratuità che ci raggiunge.

I preliminari dell’amore

Questo breve brano5 segue le dieci parole, i dieci comandi che Dio dona al popolo d’Israele e che, nella fede in Gesù Cristo, anche noi riceviamo in eredità. La legge è un patto, che Dio stringe con il proprio popolo; i precetti sono un mezzo e non un fine, come avrà modo di dar compimento Cristo stesso, con le sue parole e la sua venuta. Perché seguire i dettami della Legge, allora? Perché rendono evidente l’anelito del cuore dell’uomo. «Perché viviate e siate felici» (Dt 5,33): non è forse questo il desiderio più profodno di ognuno di noi, che cerchiamo solo di realizzare in modi diversi?

Solo felici

Non si parla di facilità, né di ricchezza, né di riposo. Niente di ciò ci è offerto. Se rivolgessimo a Dio la domanda che si pone ai genitori, in vista del Battesimo (“Che cosa chiedete per vostro figlio?”), la risposta di Dio sarebbe di una spiazzante semplicità: «che sia felice». Se anche tu che leggi ora, ti domandi come Dio ti vorrebbe, la risposta è ancora quella. Non ricchi, non carismatici, non influenti. Non è necessariamente una cosa negativa esserlo, ma non è l’essenziale. Dio vuole sempre il meglio, per i suoi figli: che siano felici!


1 Benedetto XVI, omelia, 12 maggio 2010, Fatima, durante il viaggio apostolico in Portogallo, nel 10° anniversario della beatificazione di Giacinta e Francesco, pastorelli di Fátima (11-14 maggio 2010)
2 Lc 10, 25-27
3 Lc 10, 25-37
4 Gv 6,67
5 Dt 6, 4-12


Rif. Letture festive ambrosiane, nella V domenica dopo la Decollazione di Giovanni Battista

Foto: panorama dal monte Catria

Approfondimento del 2020 – Ascolta e ricorda: sei libero!


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