«Noi non siamo un corpo, una cicatrice o un’imperfezione» ha raccontato Ilenia Garofalo in un’intervista. Lei, il 23 febbraio 2019 (soltanto quattro anni fa, anche se il Covid sembra averlo fatto accadere decenni fa) venne travolta sulle striscie pedonali a Sesto Fiorentino e ridotta in fin di vita. Adesso – dopo quattro anni e 14 interventi chirurgici – rende pubblico il suo sogno di poter partecipare alle selezioni di Miss Italia. Tra i tanti motivi che la spingono, il desiderio di poter rimettere mano ad un sogno archiviato diciotto anni fa per un amore sbagliato. Quest’anno ci riprova, dopo l’ennesimo intervento chirurgico subito. Una sorta di lieto fine: «Vorrei scardinare i canoni – si confida in un’intervista -, portando un esempio di bellezza dentro l’imperfezione». La speranza, dopo la disperazione.
Un’intenzione spettacolare, forse un’intuizione troppo forte per un mondo come quello di Miss Italia dove la taglia 40, l’impeccabilità della fisionomia, la trazione della perfezione sono diventati, negli anni, il metro per celebrare cos’è bello, accattivante, attraente. Un mondo dove, forse, una cicatrice diventa una porta chiusa, un peso morto, un punto di partenza fallace per tentare la scalata al successo. Se è vero, come dice Ilenia, che noi non siamo una cicatrice – che nessun uomo è mai il suo reato, il suo errore, il suo peccato – è anche vero che ci sono luoghi in cui tutto ciò sembra essere un “difetto” da correggere, un fatto da tacere, una sbavatura da togliere. Al netto della fatica fatta per stringere loro la mano e fare pace, spesso le cicatrici diventano invece la parte più bella quando vogliamo testimoniare il valore della nostra storia. Siamo tutti bambini che, il giorno dopo un capitombolo, mostriamo le nostre cicatrici come fossero delle medaglie: magari siamo convinti che non siano loro la parte più bella di noi stessi, ma le raccontiamo come una delle parti più interessanti. Identificative.
Quando Ulisse riuscì a tornare nella sua amatissima Itaca sotto le mentite spoglie di un mendicante, la sua nutrice Euriclea lo riconobbe, lavandolo, dalla cicatrice provocatagli da un cinghiale durante una battuta di caccia. Mi viene da pensare che se Ulisse, negli anni rimasto lontano da casa, si fosse sottoposto ad un intervento di chirurgia plastica, o avesse scelto di coprire la cicatrice con un tatuaggio, nessuno l’avrebbe riconosciuto. Una volta raggiunta la sua isola, da quella piccola scoperta della nutrice forse si sarà reso conto di non esser più originario di Itaca. Ma che il paese dal quale veniva eran le sue cicatrici. Più che ricordargli il sangue versato, gli ricordavano che ce l’aveva fatta. Miss Italia non è l’Odissea, ma l’Odissea è la “mamma” di tutte le storie. Piaccia o non piaccia.
(da Specchio de La Stampa, 30 luglio 2023)
2 risposte
Caro don Marco
Riesci sempre a farci soffermare su dei particolari che da sola non ci sarei mai arrivata
Grazie
Questa E’una testimonianza forte, bellissima ed E’una storia di vita, di una ragazza forte, con un animo ricco e dalla quale prendere spunti e riflessioni. Sicuramente una persona da seguire, e alla quale dare continuità’ed importanza. Semplicemente da Lodare.