Di una cosa, Matteo Di Pietro – lo youtuber accusato dell’omicidio stradale del piccolo Manuel Proietti, avvenuto il 14 giugno a Casal Palocco, nei pressi di Roma – è più che certo: «Vorrei tornare indietro nel tempo e che tutto ciò non fosse successo».
Su tante cose le indagini stanno ancora cercando di fare luce: la questione della velocità, quella della telecamera nascosta nella Lamborghini, il problema della precedenza. Il suggerimento di rallentare dato da chi viaggiava con lui nell’abitacolo. Tanti dubbi, ancora, ma una certezza: quella di non volere che fosse accaduto tutto ciò ch’è accaduto. Sapendo che l’accaduto non è stato frutto del caso ma della libertà (folle) di qualcuno che ha fatto accadere quant’è accaduto. Nel dramma funesto salviamo il fatto che la vera consapevolezza non sia sempre quella di sapere che cosa si vuole, ma che cosa non si vuole più.
Rimane il fatto che ogni nostra azione, anche la più piccola, è destinata ad influenzare la traiettoria della nostra esistenza. Della nostra e di quella altrui, del piccolo Manuel al quale è stata tolta per sempre la possibilità di vivere. Quando accadono fatti così, passa anche la voglia di riflettere: sarà il tempo del carcere, tante volte, a costringere a riprendere in mano ciò ch’è stato e guardarlo con gli occhi dell’obiettività. Lì, in quegli attimi – che accadono più di quanto uno pensi – si scopre che andare sulla luna non è poi così lontano: il viaggio più lontano e ostico è quello di andare a perlustrare noi stessi.
Guardando fuori dal finestrino di un’auto, qualcuno può trovare motivi per sognare o far sognare. Guardando dentro se stessi, certe volte si trova il motivo per svegliarsi. E accorgersi che, in realtà, quando pensavamo d’essere così svegli da insegnare agli altri come fare per essere felici, non eravamo altro che dei sonnambuli che portavano a spasso il corpo per la città. Noncuranti di che cosa accada quando il corpo è scollegato dal cervello. In secondo luogo dal cuore: una faccenda tutt’altro che romantica.
Qualcuno la chiama consapevolezza questa fioritura che viene ben prima di un pentimento. Che, onestamente, potrebbe anche non arrivare mai.
Dentro le patrie galere, questa consapevolezza, a volte, significa anche una rinascita: la libertà – quest’arnese molto più difficile da guidare di una Lamborghini – diventa chiara solo quando guardi dentro il tuo cuore. Guardare com’è fatta, imparare a viverla, farsi aiutare non rende immuni dall’errore. Da qualche cazzata, forse, sì: magari di quelle che, appena fatte, si «vorrebbe tornare indietro nel tempo».
(da Specchio de La Stampa 2 luglio 2023)
4 risposte
Libertà. Sempre più difficile da usare bene. Buona Domenica don Marco. E GRAZIE sempre. 🙏❤️🙏
È vero quello che dici don Marco. Grazie infinite per questa riflessione.
Un caro saluto a tutta la tua comunità. ❤️🙏🏼🙏🏿
I ragazzi di oggi e i loro genitori dovrebbero capire cos’è libertà e che cosa è licenza e che la libertà di ognuno di noi finisce dove comincia quella di un altro.
Grazie mille, don Marco, per l’abituale e stringente chiarezza!
Condivido in pieno che centrale, in ogni circostanza, è l’uso della libertà.
La proposta di puntare sempre all’eccesso (senza riflettere sulle conseguenze delle azioni) mi sembra sconcertante.
Quasi sempre occorre toccare il fondo per prenderne atto, ed è veramente sconcertante questo sonnambulismo.
A me piace molto l’espressione “cadaveri ambulanti”.
Proprio ieri mattina, mentre attraversavo, un tale in doppia fila parcheggiato ha tentato una retromarcia: si è scusato, però gli ho raccomandato di pensare a
anche a noi pedoni, che non riusciamo neppure a camminare come si deve.
Chi guida, ovviamente, dovrebbe avere a ❤️ non le bravate ma la Vita, propria ed altrui.
Caro Manuel, ti mando un dolce pensiero tramite don Marco: ora vivi in compagnia degli Angeli.