Buen camino... fine anno scolastico

Studenti e professori alla fine di un cammino

Sabato, per studenti e studentesse, sarà l’ultimo giorno di scuola. Per alcuni sarà solo un arrivederci, per altri la fine di un percorso, di un cammino che dura dalla scuola dell’infanzia. Circa sedici anni passati dietro i banchi, chi più, chi meno.
Ai miei alunni delle classi quinte dico sempre, durante l’ultima settimana, nell’ultima nostra lezione: – La campanella è una violenza.
Loro, nell’immediato, non mi capiscono, certi neppure dopo che ho spiegato perché la campanella sia violenta. Per loro, per molti di loro, quel suono, quel trillo, significa liberazione, uno scrollarsi dalle spalle un giogo che non è stato leggero per nessuno. I gioghi-piuma sono prerogativa solo del Maestro.

Maled|-benedetta… campanella!

Vorrei dire anche: – Maledetta campanella! – ma mi trattengo e cambio vocabolario, passando dalle maledizioni, che non mi appartengono, alle benedizioni: – Benedetta campana!
Maledetta, mi verrebbe da dire, perché mi porta via i ragazzi, perché con uno squillo che dura tre secondi, mette fine a un percorso durato anni. E tutto finisce, arriva a compimento, come ogni cosa in questa vita, d’altra parte. Tremenda, dice solo una cosa: fine.
Me li porta via, la campana, per sempre. Con alcuni i rapporti continueranno a distanza, magari tramite uno dei tanti social che abbiamo a disposizione oggi, un pugno di loro verrà ancora a cena a casa mia, con altri non ci si sentirà più, né ci si vedrà più. Per questo la campana dell’ultima lezione mi lascia sempre quell’amaro che sa più da addio che da arrivederci.
È il motivo per cui negli ultimi giorni un po’ m’intristisco, perché li vorrei sempre con me, anche dopo la scuola. Vorrei i loro sorrisi, i loro drammi, le loro lacrime, la loro energia, il loro sognare. Ne verranno degli altri, è vero, ma ogni cammino, con ciascuno di loro, è unico, irripetibile, non accadrà più. È una singolarità umana e spirituale. Per cui non è sufficiente dire che altri prenderanno il loro posto. Non è così che funziona nelle relazioni umane.

Tempo di bilanci

Sono i giorni in cui mi chiedo se ho fatto abbastanza, se ho dato tutto, in quell’unica ora striminzita che mi è concessa. Mi domando se sono riuscito a trasmettere almeno un po’ del fuoco che arde in me, per la conoscenza, per la vita, per l’amore, per Dio. Mi chiedo se il mio tentativo d’insegnare loro a interrogarsi sulle questioni più nodali della nostra esistenza sia andato a buon fine.
Poi, però, penso che l’obiettivo di ogni docente, di ogni educatore, è proprio quello di portare i propri studenti a questo punto, del non ritorno, dell’irripetibile, alla meta che segna un nuovo inizio, un nuovo cammino. Averli condotti lì è il nostro compito, la nostra missione, la nostra vocazione, infine. 
In un esercizio di ascesi io-tu abbiamo fatto con loro l’ultimo pezzo di strada, affinando quelle capacità e quegli strumenti indispensabili non solo per il mondo del lavoro, ma per la vita stessa. È per questo che diventa “benedetta”, la campana, perché è giusto così, perché se non ci fosse questo addio vorrebbe dire che qualcosa è andato storto, che in qualche maniera si è fallito, da una parte e dall’altra. 

La campana, quindi, suona per gli studenti, ma anche per ogni docente che li ha accompagnati, per ogni educatore, per ognuno di noi, prof, che ha avuto la pazienza e il coraggio di condurli fuori. Educare significa proprio questo: far emergere, portare fuori. Fuori da dove? Ci si potrà chiedere. Noi risponderemo sempre: dall’ignoranza e dal disumano. Verso dove? Verso un pensare davvero libero e verso la grande bellezza, perché divengano loro stessi cercatori di bellezza, per il resto della vita.

… buen camino!

A tutti gli studenti e le studentesse che incroceranno questo articolo, che appare su un blog che porta il nome di un evento che pur riguardava discepoli, strade e maestri, auguriamo di riuscire ad aprire sempre gli occhi sulla Bellezza, di avere il coraggio di lasciarsi stupire e, come dicono tra loro i pellegrini incamminati verso Santiago, diciamo: buen camino!


Crediti immagine: Laura Giulian

Alberto Trevellin (Padova 1988), laureato in scienze religiose prima a Padova, poi a Venezia, è insegnante di religione. Sostiene che i bambini salveranno il mondo e che senza di essi non potrebbe vivere. La mattina, quando si sveglia, guarda verso il monte Grappa, per il quale ha un amore smisurato. Ama camminare tra le alte cime delle Dolomiti, correre in mezzo ai boschi, andare per sentieri sconosciuti. È sposato con una donna che crede affidatagli da Dio e ha due bambine bellissime quanto vispe.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy: