Il materasso matrimoniale bianco galleggia da qualche giorno in mezzo all’acqua scura al terzo piano dentro casa, che la piena sopraggiunta alle 5 del mattino ha completamente invaso. E c’è un Tex fradicio che resta sospeso a 250 metri da casa su questo mare di fango da cui niente ha avuto scampo in Emilia Romagna. Quel giornalino, uno degli innumerevoli della collezione di un uomo, era stato messo al sicuro dal tempo come baluardo di un’infanzia e di un’adolescenza felici, di cui si può custodire tutto il sapore anche tra pagine di carta stampata profumate dagli anni sopra agli scaffali in taverna. Non c’è spazio in queste ore per lasciarsi andare alla tenerezza di quello che c’era prima; bisogna trovare la forza di andare avanti oltre la distruzione, la rabbia, la desolazione interiore, lo sconforto. Rialzarsi. Rialzarsi ma come? Chi avrebbe pensato che quell’onda lenta e placida nascondesse una furia che, con una rapidità impressionante, sommergesse in pochi minuti qualsiasi ricordo, qualsiasi sacrificio?
L’alluvione dell’Emilia Romagna interroga, fa calare il vuoto dentro al cuore all’idea che si possa perdere tutto nel giro di un quarto d’ora. Case, beni, lavoro, sudore, mattone su mattone. Vite umane nel peggiore dei casi. Il cambiamento climatico è di sicuro una spiegazione plausibile, ma non è l’unica. Ce n’è una di grave, pesante che ci riguarda da vicino. Riguarda soprattutto chi crede che il mondo ci sia stato affidato, perché ce ne prendessimo cura e non lo depredassimo soltanto, anche con il coraggio di accorgerci dell’incuria e di alzare la voce perché la giustizia ambientale, che non può essere separata da quella sociale, venga rispettata. Papa Francesco, a partire dall’enciclica Laudato si’, l’ha detto più volte: stiamo facendo «un uso irresponsabile» del nostro pianeta. Siamo diventati sordi alla voce di «sorella Terra» che grida aiuto contro le nostre stesse azioni sconsiderate, del male che le stiamo provocando.
Le soluzioni esistono: si parte dalle piccole responsabilità che ognuno di noi ha nell’uso delle risorse naturali, anche nel coraggio della denuncia, per arrivare alle grandi decisioni politiche che devono salvaguardare i territori, mettere al sicuro le persone, rimettere ordine tra le priorità d’investimento economico, programmando e sanando gli errori del passato commessi solo in nome del cemento e del “dio profitto”.
Possiamo salvarci. Le strade esistono ed è possibile percorrerle insieme, anche in politica (non andiamo assolutamente in contromano), e imparare da quanto è stato sbagliato mettendo in comune le esperienze e le competenze. Ne è la dimostrazione la tempesta Vaia che ha colpito il Veneto a ottobre 2018: in poche ore caddero 700 millimetri d’acqua, ma i bacini di laminazione, le opere idrauliche realizzate dopo l’alluvione del 2010 sono riusciti a contenere i disastri e ad assorbire l’acqua che ancora una volta avrebbe avuto la meglio sull’uomo. Nei giorni scorsi, in Emilia Romagna, sono caduti 300 millimetri di pioggia; su 23 fiumi 22 sono esondati e hanno ricoperto gran parte della regione.
Perché? È questa la conseguenza di scelte non lungimiranti, di opere incompiute che dovevano mettere in sicurezza le persone prima che fosse troppo tardi. Abbiamo tutti le nostre responsabilità, piccole o grandi che siano, nei confronti della “casa comune”: nulla deve lasciarci indifferenti, partendo dalla sofferenza che respiriamo in questi giorni anche solo con le immagini lanciate dai telegiornali e dai social.
Se ci lasceremo toccare profondamente oltre l’emotività del momento, troveremo la forza e l’intelligenza per agire, per non lasciare nulla di intentato con la consapevolezza che prenderci cura dell’ambiente, di quel magnifico Creato che con la sua bellezza toglie il respiro e che Dio ha messo tra le nostre mani come la più grande prova del suo Amore, prima di tutto vuol dire custodire l’uomo e la nostra stessa umanità. Possiamo crederci o non crederci.
Tatiana Mario, giornalista professionista
Una risposta
Grazie Tatiana. Tutto vero.