Impastati di carne e di spirito. Ma sdraiati a terra: perchè l’uomo, senza la Grazia dell’Altissimo, non sta in piedi. Li troveremo così – a metà strada tra lo stupore e l’incomprensione – oggi Michele, Samuele, Lorenzo, Loris, Jean de Dieu, Giovanni, Vittorio, Marco, Ulisse e Benedetto. Incensi,ovazioni e qualche lacrima: perchè c’è un sacerdozio da festeggiare e un gregge del quale diventare il giorno dopo pastori. Giovani, inesperti o titubanti non conta: si ballerà in mezzo ai lupi per testimoniare una proposta dalle origini celesti.
Oggi gli applausi, domattina la dura manovalanza per il Regno dei Cieli: con la speranza che il cantiere di nessun sacerdozio divenga gemello della torre innalzata nella pianura di Babele, a tutt’oggi il cantiere edile più fallimentare della storia. Loro lo sanno, o l’intuiranno in un batter d’occhio, che oggi tra la strada e l’altare abita una generazione dall’alfabeto mutato e dalla grammatica nuova: sulle loro bare mettono le sciarpe dei club, maglie numero 10 di Totti e Del Piero, di Di Canio o Legrottaglie a seconda del credo professato. E come canto funebre alle esequie il Voglio trovare un senso di Vasco al posto del collaudato Salga a te, Signore. Costoro stanno firmando silenziosamente un’inedita forma di apostasia: non tanto un “abbandono cosciente del deposito della fede” – come recita il Codice di Diritto Canonico – ma una specie di allontanamento dal Volto di Cristo, una disaffezione nei suoi confronti. Per riaccendere la quale s’invocano forme di cristianesimo creativo capace di scendere nei loro cuori e organizzare la speranza per farla esplodere.
Troveranno una chiesa ad accoglierli: l’augurio è che sia la Chiesa che hanno sognato, studiato a scuola, forse pregato. Magari, invece, sarà proprio l’opposto perchè come per conoscere una persona bisogna viverci assieme, così per conoscere e amare la Chiesa bisogna abitarci dentro. E soffrire, imparando l’obbedienza dalle cose che si patiscono (Eb 5,8). Saranno custodi di una Tradizione millenaria che, per non diventare un cimelio da mausoleo, chiede continui rilanci e variazioni immaginative nel suo proporsi all’uomo contemporaneo. Se saranno preti che abitano il “centro della Chiesa” dovranno salvaguardare la tradizione; se saranno preti “di periferia” dovranno spingere all’innovazione: la storia attesta che l’anelito alla riforma abita più la periferia che il centro dove, per reiterate dimostrazioni, meno fantasia scompagina le carte più sereni rimangono gli animi e le certezze.
La sfida è tutta da giocare: magari attaccando in “controvento” (che è tutto il contrario dell’attacco in “contromano”), inseguendo il filo di qualche intuito che nella Scrittura Sacra va sotto il termine di carisma. Per annusare pascoli diversi, per tentare strade nuove, per lasciare ad altri la certezza millenaria di una pastorale e riformulare un alfabeto nuovo, una grammatica personalizzata. Gesù era davvero come lo raccontano oggi troppi pulpiti: tranquillo, pacifico, buono, dolce, remissivo, con il collo inclinato sulla spalla destra, gli occhi celesti languidamente rivolti verso il cielo?
Tra cocktail, graffiti e canto gregoriano abita l’avventura di un pugno di uomini che, da domenica, saranno costretti a testimoniare Cristo in un mondo che Cristo l’ha messo volentieri “tra virgolette”. Sperando che il loro entusiasmo non s’afflosci sotto i colpi di mortaio di una realtà mai immaginata prima. Ma questa è l’altra faccia dell’inedito di Dio: quella più credibile e meno illusoria.