di Francesco Vergani, da “Il Foglio”, 31 maggio 2010
Peccato e redenzione di Ivan Basso
Perché il vincitore del Giro non è precipitato nel vuoto come altri

0JZU4MDH--346x212Se una storia è bella, è bella. E poco importa se è vera o verosimile o forse è vera ma non ci credo. In nota agli ordini d’arrivo delle corse ciclistiche – da che mondo è mondo, e il discorso vale per qualsivoglia competizione sportiva – andrebbe siglato l’acronimo sap, che sta per salvo antidoping positivo, così scrive da una vita il suiveur vecchio stampo Gian Paolo Ormezzano. Ma poi c’è che una storia s’impone e sovverte gli ordini d’arrivo, e gli scrupoli di ordine moralistico. Chi se ne frega se è troppo bello per essere vero, sentirsi raccontare (una volta ancora) del riscatto di un ciclista alla rincorsa del tempo perduto, sentirsi raccontare del percorso di un campione dalla gloria alla vanagloria e ritorno, via peccato e redenzione.

Il bello è che Ivan Basso ha rivinto il Giro d’Italia quattro anni dopo la prima volta, quasi una vita dopo avere inseguito Lance Armstrong sulle strade del Tour de France. Basso è tornato in alto dopo essere tornato alle corse alla fine del 2008, scontata una squalifica di due anni per “tentato uso di un metodo proibito”: altra storia intrigante, nel suo genere grandguignolesco. Storia di sacche di sangue e di nomi di cane, l’abbinamento l’ha studiato un ginecologo delle Canarie con pazienti da mezza europa e di diverse specialità, nessuno veramente interessato alla sua prima specializzazione. Ivan da Cassano Magnago è ripartito da casa rompendo il silenzio con moglie e figli, loro che più che una confessione piena gli chiedevano di non precipitare nel vuoto, com’è successo ad altri.

E il corridore è venuto fuori, si è affidato a quel preparatore che non promette miracoli ma programmazione scientifica, s’è messo a spiattellare su Internet i suoi valori ematici, ha persuaso della sua trasparenza persino i giornalisti professionisti dell’antidoping e il grillo parlante del ciclismo italiano, il formigoniano Ivano Fanini (che ha esternato, tre settimane fa: “Se fossero tutti puliti come lui, allora il Giro lo vincerebbe Basso”). Ieri sul podio dell’arena di Verona la maglia rosa s’è sciolta, finalmente, e ha annunciato che diventerà papà per la terza volta. Nel mentre i suiveur di nuova generazione ricambiavano volentieri il sorriso, registrando per una volta wattaggi più o meno nella norma fisiologica, espressi dai migliori atleti sullo Zoncolan come sul Mortirolo, nei giorni addietro. Potenza delle storie che il ciclismo non si stanca di raccontare, se non altro per darsi una piccola, meritata consolazione.

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