Il dito del Battista
“Ecco l’Agnello di Dio”. Nel rito romano, è una formula fissa, presente ad ogni celebrazione eucaristica. Sono le parole con cui Giovanni Battista indica ai suoi discepoli l’arrivo di un nuovo personaggio, sulla scena del mondo. O, meglio, esprime la manifestazione del suo Autore, da sempre presente. Perché se Cristo è il Verbo (Logos) di Dio, era con il Padre, dalla fondazione del mondo e, con il soffio dello Spirito, è stato partecipe della Creazione.
In questo gesto deittico, volto specificamente ad indicare una presenza, troviamo un invito, pressante e profondo, che parte dal Battista, affinché i suoi seguaci, fidandosi di quella parola carismatica, possano “volgere lo sguardo a Colui che hanno trafitto”[1].
Il battesimo di Giovanni dopo la prima Pasqua
Non a caso, nella liturgia della III domenica di Pasqua, la prima lettura annessa (At 19, 1-7) ci riporta un episodio che avviene ad Efeso e che vede protagonista, oltre a Paolo, un piccolo gruppo (dodici persone, non a caso come gli apostoli) di discepoli provenienti dalla prima predicazione di Giovanni Battista. Tanto è vero che non hanno alcuna istruzione sul Battesimo nello Spirito Santo, pur preannunciato dal Precursore, affermando di aver ricevuto unicamente “quello di Giovanni”, che aveva, propriamente, intenti penitenziali ed era privo della funzione di innestare nella neonata comunità cristiana. La predicazione del Battista, che aveva preceduto quella del Nazareno, non era stata solo una parentesi, ma, preparandone la strada, era rimasta come terra fertile, in attesa del compimento delle profezie, negli eventi pasquali. Paolo riconosce la particolarità di questa condizione, per così dire, escatologica, di già e non ancora, di questa piccola comunità e le assegna il pieno diritto di entrare a far parte del Corpo di Cristo.
L’immolazione pasquale e l’Antico Testamento
Le ultime ore della vita di Cristo, che la liturgia ha messo al centro delle celebrazioni del Triduo, segnano il compimento di ciò che era stato annunciato nell’Antico Testamento, che i Padri ritrovano, oltre che nelle profezie veterotestamentarie (su tutte, il canto del servo sofferente di Isaia, capitoli42; 49; 50; 52-53), in forma di immagine tipologica, anche in molti altri brani e figure della Scrittura Sacra. Abele in quanto ucciso, Isacco perché legato, Giuseppe venduto, Mosè esposto, Davide perseguitato, Giacobbe peregrino e i profeti (ad esempio Elia o Ezechiele) che soffrirono per la loro fedeltà alla Parola di Dio sono tutte, ciascuna per un motivo diverso, immagine dell’unico e vero Agnello pasquale, che è Cristo, compimento delle promesse del Padre[2].
L’agnello dell’Apocalisse
Anche l’Apocalisse (che compie una lettura teologica ed escatologica della storia di salvezza) parla di un Agnello, immolato, fin dalla fondazione del mondo[3]. Se, infatti, questo Agnello è Cristo e Cristo è Dio come il Padre, l’immolazione di Cristo è avvenuta una volta per tutte, nel tempo e nella storia umani, ma, in quanto persona divina, non ha mai smesso di sovrastare il male e la morte.
L’altare di Gand e l’opera di van Eyck
A questo fa riferimento la preziosa opera di Van Eyck, che, con una felice sintesi iconografica, ci mostra l’Agnello, su un altare, che, al contempo, ha due atteggiamenti, realisticamente contrapposti. Da una parte, ci appare, sanguinante dal fianco, richiamo all’epilogo della sua avventura terrena[4], a sua volta legato al nutrimento per il cristiano sia al proprio innesto (con il Battesimo), sia lungo il corso della vita (tramite l’Eucaristia)[5]. Dall’altra, però, la sua figura non è sofferente, ma, al contrario, l’artista ce lo mostra in piedi, ritto e vittorioso sulla morte, come se non fosse neppure ferito. Perché, al contempo, in quanto incarnato nella storia, Cristo è agnello immolato. Ma, essendo Dio, è, al contempo, agnello trionfante e glorioso.
La certezza dell’amore
Perché, in Cristo, abbiamo una certezza. La morte è vinta, sconfitta per sempre. L’antico serpente non ha più potere su di noi, perché Cristo, Figlio di Dio, si è frapposto. Ha sanato la colpa e preso su di sé il peccato, lasciando per sé la giustizia e donando a noi la misericordia.
Rif. III Domenica di Pasqua, letture festive ambrosiane, part. Vangelo (Gv 1, 29-34)
VANGELO Gv 1, 29-34
✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo. Giovanni, vedendo il Signore Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».
Fonte immagine: bbci – particolare del polittico del mistico Agnello, Cattedrale di san Bavone, Gand (Jan van Eyck, 1426/32)
Per approfondire: Finestre sull’arte
[1] Zc 12, 10
[2] Cfr. Melitone di Sardi, omelia sulla Pasqua (Perì Pascha), n.59
[3] Ap 13, 8
[4] Gv 19, 33, a sua volta richiamo della Gerusalemme Celeste, evocata dal testo apocalittico di Ez 47, 1
[5] Rif. lettura patristica dell’ora media del Venerdì santo – «Catechesi» di san Giovanni Crisostomo, vescovo (Catech. 3, 13-19; SC 50, 174-177)