Un bilancio
Questa domenica, il rito romano e quello ambrosiano concordano, almeno nel Vangelo[1]. I più attenti avranno poi notato come, durante la Quaresima, il Simbolo confessato dai fedeli non è quello abituale (Niceno-Costantinopolitano[2]), bensì uno più conciso, ma che, per certi aspetti, possiede alcune definizioni cesellate con maggiore precisione: è il Simbolo Apostolico. Oltrepassata ormai la metà del percorso quaresimale, è utile tenere a mente la destinazione, per non rischiare che il “paesaggio” ce ne distragga.
La meta
Stando agli Scritti Paolini, in modo particolare, non possiamo parlare di Pasqua limitandoci al “giorno della risurrezione”: in quello che per noi è diventato il “Triduo” (da Giovedì Santo a Pasqua) è condensato il kerygma[3] della nostra fede, è contenuta la nostra specificità. Per i primi cristiani, corrispondeva strettamente alla “differenza cristiana”, che poteva distinguerli dalle altre haeresis giudaiche.
Il simbolo apostolico anacronistico
“Credo la risurrezione della carne e la vita eterna”: è esattamente questa la verità di fede che, a mio avviso, è espressa in modo più esplicito e preciso nel Simbolo Apostolico, rispetto a quello niceno-costantinopolitano. In realtà, ne parla anche quest’ultimo, ma lascia spiragli a qualche interpretazione difforme. La questione è però: i cristiani lo sanno? Perché stando alle statistiche, pare che affermi di credervi il 20%[4] degli italiani. Vien da chiedersi, poi, se sia stato approfondito se chi dice di credervi, sappia di che si tratta, perché, spesso, pare permanga una certa confusione con la reincarnazione presentata da diverse teorie orientali.
La resurrezione della carne
Se ci pensiamo bene, la resurrezione della carne è la motivazione chiave che spieghi la fondamentale importanza della Pasqua, nell’economia delle festività cristiane. La resurrezione di Cristo è paradigmatica della nostra resurrezione[5]. Cristo, che si è fatto uomo e ha assunto la nostra carne mortale, si ripresent, infatti, ai suoi in Galilea, con un corpo “glorioso”[6], anticipando, in questo modo, quello che è il destino dell’uomo. L’uomo, unione ipostatica di anima e corpo, è costituito in modo tale che l’unione di questi due elementi costituisca il suo vivere, così come il separarsene la morte[7]. Non siamo angeli: la nostra anima è incarnata nel corpo e, dopo la morte, attende di essere riunita ad un corpo. Ecco perché la “resurrezione” di Lazzaro è solo impropriamente tale: potrebbe essere, infatti, in modo più opportuno, detta “rianimazione”, nel senso che “restituisce” ad un cadavere quell’anima che se ne era separata, restituendogli, così la vita (mortale). Lazzaro esce dal sepolcro, con ancora addosso il sudario. Il suo, al contrario di Cristo (che “ripiega le bende”[8]) non è corpo risorto. Lazzaro, redivivo, avrà il suo momento di celebrità. Ma quanto seguirà sarà ben differente: Cristo acquisisce un corpo, che è risorto (non muore più!).
Reincarnazione?
Perché parliamo allora di resurrezione della carne e non di reincarnazione? Per due motivi fondamentali. Il primo è che la reincarnazione prevede che l’anima trasmigri in corpi diversi dal proprio, mentre la resurrezione della carne prevede che, per via di un agente esterno (la grazia divina) il proprio corpo subisca una trasformazione radicale. Il secondo motivo è quello più profondo: al motivo della trasmigrazione delle anime, presente nella speculazione sicuramente dai tempi dei Pitagorici e di Platone (IV-III secolo a.C.), corrisponde una lettura negativa del corpo dell’uomo, visto come prigione o tomba che non consente all’anima di esprimere in piena libertà le proprie potenzialità. Al contrario, tra i meriti del tomismo, possiamo ascrivere proprio quello di aver rivalutato il corpo, fino all’apice di riconoscere al coito un aspetto di provenienza direttamente divina, tanto che Tommaso può ipotizzare, sulla scorta di S. Agostino[9] che rimarca come Dio predisponga con ordine ciò che crea per un fine, che, in assenza di peccato originale, il corpo edenico sarebbe stato in grado di provare maggior piacere, poiché il disordine del peccato provoca anche una minore sensibilità corporea[10].
La vita eterna
Gli ultimi capitoli evangelici[11] ci suggeriscono, tramite il corpo di Cristo, come potrebbe essere anche il nostro, di “corpo glorioso”. In particolare, possiamo notare come si tratti di un corpo in grado di mangiare, in grado di parlare, che può essere visto dai discepoli e che mantiene le cicatrici della Passione, ma che, al contempo è in grado di passare attraverso le porte chiuse, non è immediatamente riconosciuto da chi pure lo aveva incontrato e lo conosceva bene, può essere visto in più posti contemporaneamente, suggerendo, conseguentemente, che questi possa intrattenere un diverso rapporto con il tempo e con lo spazio.
«Con la morte, la scelta di vita fatta dall’uomo diventa definitiva – questa sua vita sta davanti al Giudice. La sua scelta, che nel corso dell’intera vita ha preso forma, può avere caratteri diversi. Possono esserci persone che hanno distrutto totalmente in se stesse il desiderio della verità e la disponibilità all’amore. Persone in cui tutto è diventato menzogna; persone che hanno vissuto per l’odio e hanno calpestato in se stesse l’amore. È questa una prospettiva terribile, ma alcune figure della stessa nostra storia lasciano discernere in modo spaventoso profili di tal genere. In simili individui non ci sarebbe più niente di rimediabile e la distruzione del bene sarebbe irrevocabile: è questo che si indica con la parola inferno»[12].
Una prospettiva vede, dunque, la vita eterna come cristallizzazione del rifiuto di Dio operato in vita.
Noia eterna?
Quanto al Paradiso, si parla di “visione beatifica”[13] di Dio. Per quella che è la nostra esperienza, ci risulta difficile anche solo immaginare. Come i bambini, forse, la prima reazione è: “Che noia!”. Forse, un aiuto alla comprensione, potrebbe essere il ricordare che non avremo più a che fare con il tempo e con lo spazio come adesso. È in rapporto allo scorrere del tempo che possiamo dire di annoiarci ma se vivremo in Dio, non percepiremo tempo, perché il suo tempo è un presente eterno.
Vera fede
Forse, la vera fede consiste propriamente nel credere in questo: che Dio ci ama, per cui se il suo desiderio è destinarci ad un eterno presente in Lui, anche se la nostra immaginazione è sopraffatta, il nostro desiderio sarà inesauribilmente soddisfatto dall’Unico in grado di non lasciarci insoddisfatti, in quanto destinatario del nostro più profondo anelito di felicità.
Fonte immagine: Wikimedia: Resurrezione, Pietro della Francesca
Riferimenti per ulteriori approfondimenti:
Come sarà il nostro corpo risorto (R. Cheaib)
Opus Dei: credo la resurrezione della carne e la vita eterna
Osservatore Domenicano – La resurrezione della carne
[1] Gv 11, con la “resurrezione” di Lazzaro
[2] Abitualmente ricordato con questo nome, in quanto racchiude in sé le principali verità di fede stabilite nei primi due “concili ecumenici” (Nicea, 325 e Costantinopoli 381)
[3] Passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo, che, per l’apostolo, costituiscono anche il nucleo centrale ed imprescindibile dell’annuncio cristiano.
[4] Vd. Informazione Cattolica (novembre 2021)
[5] TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, III Pars, Q. 53
[6] Vedi CCC 645 – 646, online
[7] TOMMASO D’AQUINO, Summa contra gentiles, , IV, 81 e CCC 997
[8] È il vangelo giovanneo (20, 1-10) a riportare questo dettaglio di una resurrezione di Cristo che “non dimentica l’ordine”. In realtà, si tratta probabilmente di una errata traduzione dal greco. L’ipotesi di Persili è che non ci fosse il sudario ripiegato, AL CONTRARIO del resto. Ma che la posizione complessiva dei teli che avevano avvolto il Corpo di Cristo abbiano indotto la fede di Giovanni. Il lenzuolo era disteso, come se si fosse svuotato del volume che conteneva (quindi: passaggio di stato dal corpo di carne al corpo glorioso), non come qualcuno si fosse tolto di dosso delle scomode e strette fasciature.
[9] Giusto per rimarcare come, pur nelle marcate differenza, non vi sia opposizione tra i due, dal momento che, anzi, Tommaso vi attinge profondamente e in ogni luogo
[10] TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, PRIMA Pars, Q.98, A. 2
[11] In particolare, Gv 20-21, ma anche Lc 24 e Mt 28
[12] Benedetto XVI, Enc . Spe salvi , 45