Jacinda Ardern, qualche anni fa, si era presentata all’assemblea dell’ONU con la sua bambina di tre mesi in braccio: potere e maternità. Qualche giorno fa, dopo quattro anni al governo, ha annunciato che non si ricandiderà più alle prossime elezioni: «Sono umana – ha detto in conferenza stampa -. Diamo tutto ciò che possiamo, per tutto il tempo che possiamo: poi arriva il momento». Per lei, dunque, questo momento è arrivato, con la semplicità solenne delle grandi occasioni: «Non ho più energie per altri quattro anni». Il potere e la grandezza, solitamente, assorbono il cuore dell’uomo, lo ubriacano, causando una sorta di delirio. L’essere umano, in occasioni così, somiglia agli scimpanzè che perdono il controllo. Per questo non si può conoscere la natura e il carattere di un uomo, di una donna fino a che non lo si vede gestire il potere. Non solo il potere che possiedi – sarebbe già tanto! – ma anche il potere che i nemici pensano che tu abbia. Quanto più grande è il potere, insomma, tanto più pericoloso è l’abuso.

Il passo indietro di un leader – fosse anche quello di un semplice parroco d’una parrocchia sperduta (figurarsi un premier, addirittura il Papa!) – è sempre un qualcosa che incuriosisce, divide la platea, che desta stupore. Se un leader, però, avverte di non essere più all’altezza del compito che gli vien chiesto, cosa dovrebbe fare? Continuare a rimandare in onda, sul canale della gloria, la solita faccia da “condannato al potere” o farsi da parte mostrando che una mancata morbosità verso di esso? Anche il potere può diventare una sofferenza. Per conoscere questa sofferenza basterà andar da quelli che lo possiedono già: per conoscere i suoi piaceri basterà andare da quelli che lo stanno inseguendo. Il gesto di Jacinda ci parla di fragilita, desiderio di normalità, ritmi meno disumani. Della voglia di intraprendere qualcosa di nuovo invece che riproporsi all’infinito.

Il potere, quando sa rivelare le sue fragilità, ritorna ad essere umano. Non ho mai amato il teorema secondo il quale il potere debba essere eterno, finchè morte non separi. Neanche quello spirituale di un Papa: quando l’esaurimento fisico e l’usura mentale inizia a far da padrone, dovrebbe essere libero di ritirarsi in disparte. Il che non significa che uno cessi di essere padre, pastore, cittadino: semplicemente antepone il futuro della comunità alla sua persona. In fin dei conti – come disse Margareth Thatcher, una che di potere se ne intendeva – «essere potente è come essere una signora. Se hai bisogno di dirlo, non lo sei». Nemmeno se per mostrarti tale hai bisogno di una sedia, di un pulpito o di un qualche altro sfoggio che richiami il comando.

(da Specchio de La Stampa, 29 gennaio 2023)

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