Fuori
dal Macrillo è tutto un via vai di macchine, di clacson e di cellulari
che squillano. Di tacchi a spillo, perizomi e mini abiti in bella
mostra. Da lodare il Creatore. Di fisici palestrati, pancette da limare
in vista della tintarella e occhiate minacciose tra bande di ragazzi
che tratteggiano i confini della "zona di caccia" notturna.
"Generazione x" la battezzò una volta Gianni Boncompagni. Poi ritoccata
in "Generazione Harmony" per tradursi ultimamente in "Mai dire
Generazione". Chi può dire di non aver investito due minuti del suo
tempo per osservare il volto dei ragazzi davanti ad una discoteca?
Certe nuove "cattedrali" custodiscono pure loro forme di liturgie da
interpretare. Una fede da tradurre. Voci alle quali aggrapparsi per
ascoltare i gemiti di un mondo vivace. A volte è più facile scorgere
mamme che – ancora convinte della possibilità di essere le migliori
amiche (sono mamme!) delle loro figlie – tentano maldestramente di
imitarle. Ignorando che madre Natura ha i suoi ritmi-tempi-lineamenti
stravolgendo i quali si causa grande imbarazzo. Alla risposta sul
perché fosse bello essere giovani oggi, la risposta di una ragazzina
non si fece attendere: "Essere giovani è portare i pantaloni bassi e vedere tua madre che ti imita e fa pietà".
Nella
"cattedrale del Macrillo" i fedeli che vi partecipano hanno il loro
linguaggio: parlano con la musica a tutto volume, comunicano con i
vestiti (perché le parole mancano), con gli sguardi e gli sms, con gli
abbracci regalati, i baci dati svenduti, le mosse architettate sui
divanetti. Con l’alcool ingoiato a fiumi, con i percing e i tatuaggi.
Facce giovani che sono al naturale. Libere da ogni forma di
appartenenza, di sottomissione, di rigore. Che, proprio per questo, ci
sfidano con una domanda: "Sapete ascoltarci?"
Noi esistiamo veramente solo se qualcuno ci ascolta! Guarda che c’è differenza tra ascoltare e sentire. Sentire è un problema di acustica, ascoltare è
un problema di cuore. Ascoltare è lasciare che le parole dell’altro
cadano dentro di noi, nel profondo, nell’anima. Non si ascolta solo con
le orecchie! Ascoltare è sedersi vicino. Concentrare l’attenzione su di
lui. Non sbirciare l’orologio. Si ascolta con lo sguardo. Si ascolta
con gli occhi. Si ascolta con le mani. Se tu ascolti, regali la
possibilità di sognare. E i sogni spingono l’umanità. I sogni
richiamano la pazzia. I sogni sono lo specchio dell’impossibile che
diventa possibile. La storia parla chiaro. Il padre di Pascal gli
nascose i libri di matematica. Il padre di Petrarca gli bruciò i libri
di latino. Il padre di Strauss non voleva che il figlio studiasse
musica. Il padre di Michelangelo voleva un figlio commerciante. Ma
nessuno di loro abbassò il sogno. Forse i loro padri li avevano
sentiti. Ma non avevano prestato ascolto alle loro passioni!
Sembra poca cosa l’ascolto! Ma nella
vita le cose più grandi sono le più brevi e le più piccole. Non basta
forse che uno spermatozoo si incontri con un ovulo, ambedue
infinitesimali, per iniziare una nuova vita? Non basta forse un embolo
infinitesimale per stroncare una vita?
Le
chat, gli sms, le email, msn, Ipod e tutto il mondo virtuale sembravano
l’antidoto a lungo cercato per ammazzare la solitudine. Oggi in
internet si parla di "comunità" virtuale. Cioè di legami, di solitudini
da vincere, di silenzi da spezzare, di orecchi a cui parlare. Di mani
da stringere.
Non sparate sui sognatori! Ascoltateli, piuttosto.

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