Si fecero storia – oltre che immagine credibile e credente – i primi
martiri dell’era cristiana. Erano i primi passi della chiesa nascente,
i primitivi vagiti di un Amore sceso per calarsi nelle vene della
storia, di un sogno chiamato a ri-svegliare l’umanità. Epoca snervante:
il sangue e le graticole furono il pegno lasciato per non far sbiadire
l’Amore. Non cedettero! Ancor oggi – dopo due millenni di storia,
cadute e risurrezioni – il cristianesimo porta in se’ la convivenza con
il martirio. Alla persecuzioni di Nerone, Domiziano e Traiano fa da
controparte l’indifferenza religiosa. Un martirio moderno, sottile ma
intenso: nel nostro tempo, a differenza dei primi secoli, ti lasciano
parlare, raccontare, elucubrare nelle agorà dell’esistenza. Ma non ti
ascoltano. Qualcuno lo si sente, ma pochissimi li si ascolta.
Sottile
persecuzione, questa: perché ti sembra di gremire le piazze, le chiese,
l’anima per poi scoprire che è stato come succhiare la caramella che si dà al bambino purchè faccia il bravo e taccia.
Qualcuno
vedeva nell’innamoramento radicale la base della conversione a Dio.
Della ricerca di Dio. Forse la superficialità sta anestetizzando questo
sentimento: non lo lascia vibrare, sussultare, emozionarsi. Svaligiata
l’interiorità, la si vede zittita da una sordità moderna, stretta
parente degli analgesici. E l’anima non è più libera d’affezionarsi a
Dio.
Non è morto Dio. E’ morta la percezione di una presenza.
Cioè è una questione di affetti. Non di intelletto!