fetus_baby Jesus L'attesa di Gesù e di Maria

La scoperta del Natale

In quest’attesa ormai in fase ormai avanzata del Natale in arrivo, è d’obbligo non farci cogliere impreparati. Perché è una festa strana, che rischia di essere – molto facilmente – mistificata e fraintesa. A maggior ragione in Occidente, dove, tra festa dell’inverno, festa dell’infanzia e regali come obiettivo primario, rischiamo di perdere di vista l’Essenziale. Basti pensare, del resto, che non è “nativo” (come si dice nel mondo digitale), cioè non la troviamo dagli albori del cristianesimo. Le prime comunità cristiane, a partire da quelle paoline, focalizzavano la loro attenzione sul kerygma[1] pasquale: la predicazione e le catechesi, specie per i catecumeni, si volevano accertare che fosse chiaro il senso redentore delle ultime ore di vita di Cristo, che, pur concludendo sul Golgota la sua parabola terrena, ci richiamava verso il Padre, indirizzandoci verso quella strada in direzione di Dio che, col progenitore Adamo, aveva preso una deviazione.  

Dalla mangiatoia alla croce

“Dal legno della mangiatoia al legno della croce”: così monsignor Di Noia sintetizza il percorso terreno del Cristo. La sua strada punta, in effetti, lì il proprio punto focale, sin dagli albori. Attraverso la Croce, fino alla Pasqua. Tanto è vero che, nonostante l’ostinato tentativo di edulcorare l’atmosfera natalizia con simbologie presepiali sempre più anestetizzanti il senso dell’Incarnazione, basta guardarci intorno per ritrovare il Golgota: il legno della mangiatoia ci richiama il patibolo a cui sarà innalzato. Specularmente: i potenti che, come i Magi, abbassano lo sguardo verso il Divino Infante saranno chiamati a guardare in alto, come facevano gli Israeliti nel deserto, nei confronti del serpente di bronzo[2].

La comune rinascita

Del resto, sia Pasqua che Natale, ci indicano la necessità di una rinascita, pur con simboli diversi. La Pasqua, riprendendo la stagione primaverile, richiama il risveglio di quella stagione dal lungo torpore invernale e, tra i popoli, ha acquisito rilievo la simbologia dell’uovo. Ma la fede richiede un continuo rinnovamento, come ricorda Gesù al perplesso Nicodemo[3], che gli domanda come sia possibile rinascere da vecchi, per cui il Natale ci ricorda quel “già e non ancora” che è il nostro pellegrinaggio terreno. La fede che quel seme, ancora, nel terreno, che sembra marcire e dire addio alla vita, è destinato, invece, a nuova vita. La fede che quel bimbo, ancora nel ventre materno, ha già un cuore pulsante e un’identità così distinta da essere riconosciuto da un altro feto un po’ più grande, che è Giovanni Battista[4].

Un fraintendimento diffuso

L’episodio della visitazione ci riporta alla memoria la solennità dell’Immacolata Concezione, da poco trascorsa. Anzitutto, a scanso di equivoci, è bene precisare brevemente un fraintendimento piuttosto diffuso. L’Immacolata Concezione di Maria non tratta di concepimento verginale: in comune hanno solo una certa assonanza. Del resto, la Chiesa non ha mai affermato il concepimento verginale di Maria, ma solo del Divin Figlio. Per quanto ci è dato sapere, il suo concepimento non ha avuto nulla di diverso, neppure l’intervento di nunzi angelici, da ogni altra umana nascita. L’Immacolata Concezione è, invece, quel dogma che afferma che la Madonna è stata preservata da ogni macchia di peccato, “in vista dei meriti di Cristo” (come afferma Pio IX, nella costituzione apostolica Ineffabilis Deus del 1854). Cioè, per dirla in modo grossolano, la Madonna, in quanto scelta per un compito così inaudito come quello di dare carne e sangue al Figlio di Dio, ha ricevuto, in modo particolare, cioè dalla nascita, oltre che “retroattivo” gli effetti del sacrificio di Cristo sulla Croce (come avverrà, in seguito, per i patriarchi che avevano creduto nell’avvento del Messia, pur non essendo, perciò, preservati dal peccato come la Vergine Maria).

Lo stile di Dio

La solennità dell’Immacolata Concezione si fa anche rivelatrice dello stile di Dio, che “passa sempre per le vie più piccole” (Gabriele Scardocci OP). Come ci suggerisce il profeta Michea, quando scrive

«E tu, Betlemme di Èfrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti» (Mi 5, 1[5])

Dio arriva, come nell’agguato a Giacobbe al guado di Yabbok[6], come quando il Maestro si accompagna ai due di Emmaus[7], proprio da dove non ci aspetteremmo, nel modo in cui non siamo preparati ad accoglierlo, come un ospite – perennemente – inatteso.

“Ad Jesum, per Mariam”

Tramite Maria, la madre, l’intermediatrice, la prima discepola della Buona Novella del Dio-con-noi, anche noi possiamo incamminarci verso di Lui: questo diceva Louis-Marie Grignion de Montfort. Non c’è tema di errore: è Gesù stesso che, sotto la Croce, ci affida la Madre.   

Allora, è con lei, ormai in stato interessante, che vogliamo prepararci a fare posto al Verbo anche nella nostra vita, emulando, affidandoci a Dio, la stessa disponibilità del suo sì.


[1] Passione, morte e risurrezione di Cristo
[2] Numeri 21, 4-9
[3] Giovanni 3, 1-21
[4] Luca 1, 39-56
[5] Prima lettura festiva, nella IV settimana di Avvento, nel rito ambrosiano
[6] Genesi 32
[7] Luca 24, 13-53


Fonte immagine: The Times

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