Superare lo spaesamento iniziale
Il Vangelo ambrosiano, ogni volta, ci coglie sempre in uno stato di spaesamento, anche se sono anni che frequentiamo regolarmente l’assemblea eucaristica. Ascoltare l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, a dicembre, rimane un’esperienza che porta in sé una punta – ineludibile – di straniamento. Al contempo, però, ravvicinato alla lettura di Isaia, ne risulta come illuminato.
“Parlare al cuore”: abitare i gesti
Il «parlare al cuore»[1], evidenziato dal profeta, dice la delicatezza di uno sguardo, prima ancora di quella di un dialogo. Perché, quando due persone parlano, il rapporto non è mai solo tra due bocche né tra il contenuto pronunciato dalle corde vocali. C’è un modo di pronunciare il nome dell’altro che già racchiude in sé il sentimento, un modo di avvicinarsi e di farsi prossimo che dà qualche indizio sulla relazione che intercorre. Perché, quando l’amore è autentico, è intriso di sincerità: quella sincerità disposta a perdere persino il legame stesso, pur di non rinunciare a mettere in guardia l’amico in pericolo, disposta a essere fraintesa nelle proprie intenzioni, pur di colpire nel segno nel farsi guardiana della custodia della bellezza altrui.
Il rapporto con la morte
La vita, quando è paragonata all’erba, che, in breve avvizzisce – ricordandone la caducità – non è qualcosa di triste. Pensare alla morte non vuole manifestare disprezzo per la vita. Tutt’altro. Nella morte, è racchiuso il senso della vita.
Il Medioevo amico della morte
L’uomo del passato, come nel Medio Evo, era consapevole della presenza della morte; era, per così dire, sua costante compagna di viaggio: la mortalità infantile più elevata, minori condizioni igieniche, ma anche l’abitudine di provvedere in famiglia a tutta quella che è la cura del defunto facevano sì che la morte non era una sconosciuta, anzi era ben nota sin dalla più tenera età.
L’uomo contemporaneo disarmato
L’uomo contemporaneo, al contrario, impaurito dalla morte, pensa di poterla esorcizzare ridicolizzandola o non pensandoci. Eppure, la sua realtà, palpabile e non procrastinabile, inevitabilmente, bussa alla sua porta. Non si può evitare l’inevitabile. La morte è incardinata nella vita. Tentare di sfuggirle è solo un’illusione, incapace di essere un’autentica consolazione. Non pensarci ottiene solo di farci trovare impreparati quando il momento bussa – sempre inatteso – alla nostra porta. Sapere chi bussa, al contrario, è sempre un aiuto per comprendere la riposta migliore da fornire a chi sta dall’altra parte. Sapere che la vita come possiamo conoscerla avrà una fine, ci aiuta a scoprire il vero fine della nostra esistenza.
La protesta del per sempre
Perché il nostro cuore geme e protesta, di fronte al limite. Chiede un per sempre che, nel nostro mondo, non ha pari: solo l’eternità può soddisfare la nostra sete di durata, che ci coglie ogni qualvolta assaporiamo una goccia di bellezza che ci apra all’infinito.
La sfida della libertà nel tempo
Se la seconda persona della Santissima ha ritenuto di incarnarsi, significa che essere uomini e donne, creature del Dio Vivente è una forma di bellezza rilevante. Che la sfida della libertà di scegliere il bene e l’amicizia con Dio vale la pena di essere vissuta. Che ogni nostro istante è prezioso e non un fugace battito di ciglia, destinato a disperdersi nel nulla della vastità del tempo che scorre, inesorabile.
La lieta notizia
«Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri» (Is 40,11)
È questa la lieta notizia che è necessario annunziare agli angoli delle strade: Dio non si dimentica dell’uomo, neppure quando egli, dimenticando di essere accanto ad altri fratelli, si lascia vincere dal desiderio di dominio e di sopraffazione e si allontana da quell’immagine di Dio che il Creatore impresse dall’inizio dei tempi nel suo cuore. Dio si affianca a noi, proprio nel «punto più debole della nostra carne»[2], laddove risiede la nostra estrema fragilità. È di quello che si fa carico, con la stessa delicatezza del pastore che sa che un cucciolo non può fare lunghi tragitti e una pecora gravida non può procedere velocemente: ad ognuno chiede di camminare, ma di ognuno tiene conto dei singoli limiti. A ciascuno non chiede mai tanto, ma tutto. Quel “tutto”, però, è sempre diverso.
L’asina regale
Su di un’asina, arriva a Gerusalemme. Un ingresso trionfale che avviene quasi in sordina, non in pompa magna. Riprende la delicatezza di chi parla al cuore, nella sincerità di chi non rinuncia all’autenticità, ma senza mai umiliare l’interlocutore. Gesù sa chi siamo. Conosce il nostro cuore, i nostri slanci sinceri come quelli di Pietro e le nostre spacconate come i Figli del Tuono. Percepisce cosa fa esplodere la nostra rabbia e cosa ci fa scoppiare in lacrime. Si ricorda del nostro passato e ha fiducia nelle possibilità del nostro futuro.
Verità che libera
Questo sguardo d’amore riesce a cogliere la verità su di noi. È un re mite. La sua reggia è una stalla. Non avanza pretese, propone un riscatto impagabile ed è disponibile a pagare di persona il prezzo.
È l’unico da cui, piegando le ginocchia, l’uomo riceve la pienezza di vita e la libertà.
Rif. Letture festive ambrosiane, nella IV domenica di Avvento, anno A (in particolare: Is 40, 1-11; Mt 21, 1-9)
Fonte immagine: Pinterest
[1] Isaia 40, 1
[2] Jean-Pierre Brice Olivier OP, Non avere paura del corpo, Qiqajon 2018, p. 7
Una risposta
Grazie Maddalena. Ci descrivi un Gesù vicinissimo a noi se siamo semplici e con il cuore aperto. Semplici non ingenui. Semplici convinti. Lui ci accompagna in ogni istante, specialmente in quelli peggiori.. Fonte di consolazione. Grazie Maddalena e buona giornata con un abbraccio grande.