curatoUno scatto li ha immortalati e resi celebri la sera del Giovedì Santo: fino a custodirne i lineamenti tra le pieghe del Vangelo, pronti a sfidare il ritmo del mondo e le mode del momento pur di non cedere la Bellezza del Maestro. Ad ognuno di loro Leonardo da Vinci ha riservato uno sprazzo d’arte e di follia cosicchè, nel convento di san Marco a Milano, sembrano sfilare davanti agli occhi di chi s’accosta loro: Simone, Giacomo di Zebedeo, Giovanni, Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda Iscariota. Sono i primi sacerdoti dell’umanità, consacrati direttamente da Chi ne dipinse la traiettoria, ne fissò i lineamenti, ne trasformò l’esistenza. Ignoti pescatori, esattori garibaldini, anonime esistenze pizzicate da un raggio di divina Bellezza: uomini non più uomini, uomini trasformati in sacerdoti, i primi sacerdoti dell’umanità. Giuda, il primo dei cattivi preti. Primi, di un’innumerevole famiglia: per tutti i secoli dei secoli. Amen.
“Tra l’argine e il bosco – scriveva don Mazzolari, parroco di Bozzolo – una povera chiesa e un piccolo campanile”. Semplici coordinate per individuare la biografia del prete, di quel vecchio uomo di Dio che ancor oggi – dopo millenni di sfide accettate e di battaglie ingaggiate – al canto del gallo ogni primo mattino s’alza, s’ammanta dei suoi neri abiti e s’infila silenzioso tra le navate ancora buie per colloquiare col suo Dio e pianificare assieme la giornata lavorativa. Una vita che ai più pare solitaria e fuori moda, all’antica e retrograda, troppo difficile per poter divenire felice: la castità, la solitudine, più spesso l’odio, lo scherno e, soprattutto, l’indifferenza di una società che sembra non aver più posto per lui. Eppure non s’arrende: dal bollettino parrocchiale al viatico per i moribondi, dal comprarsi il pane al celebrare le esequie, dal camposcuola ai primi venerdì del mese: e poi le bollette da pagare, i sacramenti da amministrare, la quotidianità da gestire. Le telefonate sotto “campagna elettorale” cui rispondere con umano garbo e gentilissima neutralità. Dovrebbe saperne di economia e di escatologia, di teologia e di botanica, di azioni e di contemplazioni: di terra e di cielo. A guardare quel vecchio curato chino sul suo breviario un po’ ci s’incanta: semplice come il suo sguardo, sorridente come il Dio di cui parla, indaffarato come le mani sempre sporche. Non tiene velleità di carriera, nel microcosmo di quel borgo sperduto ci vede il mondo, in quella corona fodera paure e gioie, tristezze e umiliazioni, pane, sogni e poesie. Tra la pieve e il fiume ci sta un uomo di Dio. Con il cuore troppo robusto per cedere al martirio di chi lo deride, di chi insinua strani discorsi, di chi lo vorrebbe diverso solo per poi ri-volerlo all’opposto. Persino l’onorevole Peppone – vivace sindaco della bassa padana – andava orgoglioso del suo parroco. Lo insultava, ne apriva la battaglia, lo minacciava: ma di notte, all’oscuro dei suoi elettori e lacerato dai dubbi, navigava a tutta birra nella nebbia per cercare il suo Camillo.
Anche per l’ultimo parroco anonimo Benedetto XVI ha dato inizio venerdì all’Anno sacerdotale. Sulle orme del Santo Curato d’Ars, patrono dei parroci: sulla cui tavola in canonica certe sere rimaneva solo qualche patata ammuffita per cena, quanto bastava per affrontare il diavolo in piena notte. Un anno intero dedicato ai sacerdoti: capolavoro complesso e indecifrabile uscito dalle mani dell’Altissimo. L’unico uomo al quale bastano due parole perchè un pugno di pane e qualche goccia di vino diventino il Corpo e il Sangue del suo Signore.
Mistero dell’Alto. Mistero del Basso. Mistero di un uomo che parla di Dio senza dimenticare la terra. O, almeno, ci prova ad ogni primo mattino.

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