Tempus fugit o perdis tempus?
Tempus fugit, il tempo vola, recita un vecchio adagio, ma oggi potremmo anche dire, perdis tempus, si perde tempo. Sì, perché, da quest’anno scolastico i miei studenti non solo sembrano dipendenti dallo smartphone, ma appaiono fagocitati, inghiottiti, divorati da un strumento che non sanno controllare o che, nella maggior parte dei casi, non sono stati educati a controllare e usare ponderatamente. Perché, se è vero che la nostra epoca se la deve vedere con i problemi che questo strumento può causare, non bisogna cadere nel rischio di demonizzarlo e di assumere, di conseguenza, una visione totalmente negativa su di esso.
Questione di educazione
Come per ogni cosa, sia per i ragazzi, sia per gli adulti, bisogna educare all’utilizzo dello smartphone, dei social network in particolare.
Qualche settimana fa, anziché continuare il confronto tra scienza e fede, la lezione ha preso da subito un’altra strada e siamo finiti proprio su questo argomento. Ne è venuto fuori della loro consapevolezza di essere dipendenti dal cellulare, di non riuscire a viverne senza (ma sarà davvero così?), del fatto che tutto quello che guardano, soprattutto su Tik Tok, sono cose assolutamente effimere e banali. Ma i social network sono così ben studiati che uno rimane lì e “scrolla”, come si dice, all’infinito, e passano i minuti, e passano le ore, e passa il tempo.
Ho chiesto di guardare quante ore avevano passato sul cellulare nell’ultima settimana. Mediamente ci passano 30/35 ore, utilizzandolo dalle 3 alle 6 ore al giorno.
Social media: TikTok e gli altri (con felici eccezioni)
Una ragazza è moderatamente preoccupata perché si rende conto che passa troppo tempo su Tik Tok, circa 23 ore a settimana (3,5 ore al giorno). Ma ci sono anche Instagram, Youtube, Spotify e Co. Un altro mi confessa che non riesce più a guardare film, perché appena questo si fa impegnativo, inizia ad annoiarsi, prende in mano il telefono e in malora tutto. Un’altra ancora dice di non guardare mai video più lunghi di un minuto, che pensare di guardarne uno da tre è una follia. Generalmente, si rendono conto di avere una soglia dell’attenzione molto bassa.
Poi, però, ci sono altri e altre che utilizzano bene lo strumento: un paio d’ore, massimo tre e per fini buoni, come approfondire un argomento di scuola, ascoltare podcast educativi, leggere articoli di giornale. Perché lo smartphone è anche questo, non solo un buco psichedelico in cui scivolare numerose ore al giorno, ma pure una preziosa miniera da cui attingere informazioni e conoscenze di qualità.
Non solo smartphone: la sfida del tempo
Certo, per noi insegnanti, come per i genitori e in genere per chi educa, resta la grande sfida di guidare i giovani al corretto utilizzo del telefono. Partendo da noi, dando l’esempio di un uso moderato e consapevole del mezzo, portandoli a riflettere sul tempo come dono e kairos, cioè come tempo che si presenta sempre come supremo, da cogliere, gustare e far fruttare, più che da buttare o da perdere.
Del tempo come qualcosa che passa e non torna, perché 24 ore passate su un social nessuno le restituisce, nemmeno il denaro. Insegnando loro che dare un senso al tempo, vivendolo pienamente, è dare senso alla propria vita e vivere questa in pienezza. Aiutiamoli ad investirlo sulla loro vocazione, su quello che sono chiamati a compiere in questa esistenza, che è poi ciò che darà significato all’esistenza stessa. Non condanniamoli, ma educhiamoli, partendo da noi, che pur usiamo il telefono, alcuni a volte, forse, più di loro.
Camminiamo con loro, senza accusarli, senza dire che noi non facevamo così, perché è una falsa accusa, dato che il telefono, allora, non esisteva neppure. Educhiamoli educandoci, imparando insieme che anche il tempo è un dono di Dio, poiché il tempo è la vita stessa e merita di essere vissuta perché porti molto frutto, senza che nulla vada sprecato.
2 risposte
Come ogni cosa buona e utile anche lo smartphone ha il suo rovescio della medaglia. Bisogna sapersi dare una regolata e non sempre è così facile: ancora un minuto ed è facile sforare
Buonasera, Alberto.
Mi è piaciuto molto questo Editoriale e ne condivido la proposta di educarci per educare.
Con i miei ragazzi riflettiamo sovente sul valore e sul il significato del tempo come dono, a partire da una considerazione abbastanza ovvia per me che ho 57 anni: oggi lo smartphone, oltre quarant’anni fa il walkman. Stessa fama, stessa diffusione capillare.
Come oggi utilizzo lo smartphone per necessità e quasi mai lo porto a scuola, così negli anni ’80 dissi no al walkman perché non comprendevo il senso di uscire con le cuffiette di feltro.
Già quarant’anni fa ed oltre era evidente la frattura tra stupore/meraviglia/vita quotidiana.
Personalmente scelsi di non lasciarmi travolgere dalle mode di massa e, crescendo, ho confermato il mio disinteresse per tutto ciò che mi impedisce di vivere in semplicità.
Un esercizio che trova i ragazzi convinti del risultato è la proposta di trascorrere una giornata ascoltando la Natura: ogni oggetto tecnologico per un giorno deve essere messo da parte.
Ammettono di star bene, che l’esperienza risulta piacevole, salvo poi aggiungere che, però, non è possibile andare a dormire o svegliarsi senza smartphone ovvero senza tecnologia.
Mi diverte molto discutere di Vita e della differenza tra le richieste della Vita e quelle della società…
Allenarsi a rispondere alla Vita non è la stessa cosa di pianificare l’esistenza al ritmo di bip e clip: mi sforzo ogni giorno di incrociare gli sguardi di resa e provocarli con alternative che non osano immaginare perché -come ha scritto Matteo, 14 anni- “la società ci domina”.
Spessissimo utilizzo i post di questo sito, per aiutarli a comprendere proposte… più ampie degli orizzonti limitati entro cui ci si rinchiude spesso per pigrizia.
E ogni giorno mi ritrovo a fare leva sulla molla della Libertà: “Asini dalle matite colorate”, “Penultima lucertola a destra”, “Chi dorme non piglia Cristo” mi sembrano strumenti validissimi per una riflessione contemporanea e a misura di sguardi giovani.
Un saluto cordiale