Liberi perchè diversi, senza mercantilismo alcuno: potrebbe essere questa la sintesi dell’atteso intervento firmato dal card. Angelo Bagnasco di fronte al “parlamentino” della CEI e alla chiesa italiana. Da quella celebre serata d’aprile trascorsa tra conferme e smentite nella periferia di Casoria ad oggi, molti erano stati i tentativi di chiedere una presa di posizione che difendesse la dignità della Chiesa, quella costruita sui cuori degli uomini, da ogni possibile tentativo di manipolazione. All’eccellenza dichiarata dei rapporti, i preti di parrocchia chiedevano luce e direzione in un percorso insidiato da filoni di pensiero che complicavano la pastorale ordinaria, quella che si gioca all’ombra del campanile e lontano dalle stanze dei bottoni. Lo chiedevano i preti, umili “manovali” di un messaggio ardito da comporre, lo chiedeva la gente di paese frastornata da parole che non dicevano più nulla alla loro anima. Lo chiedeva il Vangelo, primo firmatario di quella distinzione tra Cesare e Dio così complicata da armonizzare nell’esistenza della città degli uomini.
Se la politica ha i suoi spartiti, pure la chiesa non suona improvvisando, almeno nella sua accezione più evangelica: perchè ha una diversità da difendere, da proteggere e da tutelare da ogni tentativo di manipolazione. Fin dai suoi primordi, la storia del cristianesimo ha vissuto tra due opposti: il rischio della persecuzione e la comodità dell’omologazione. A fare da spartiacque tra le due sponde da sempre abita la pietra d’inciampo della diversità: quella che fa dei cristiani gente che sta nel mondo ma che non è del mondo. Salvare dunque la diversità non è opzione delle frange più creative o sensibili, ma rimane la sfida sempre più affilata che si propone sul cammino della chiesa d’oggi. A maggior ragione se stiamo abitando un’epoca nella quale “i campanili sono diventati muti” (CEI 2004): un’immagine emblematica che dice lo spaesamento di avvertire una voce che ha perso il suono, la parola. E’ la diversità che ci salva da quel processo di assimilazione che farebbe di noi nient’altro che gente dal messaggio sbiadito e incolore. Dirsi liberi di fronte a Cesare altro non è custodire la possibilità di poter parlare da destra a sinistra senza temere ricatti o stordimenti che complichino la costruzione del Regno di Dio quaggiù. Divenne celebre il “non possumus” del 1860 di Pio IX contro quelle che definivano le “usurpazioni piemontesi”. Se in 150 anni la storia del rapporto Chiesa – Stato può aver fatto dei passi in avanti, non cambia però l’oggetto di quell’espressione che arriva dagli Atti degli Apostoli: non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato. Cioè un messaggio che cambia l’esistenza delle persone proponendo uno stile il più delle volte alternativo all’andatura del mondo. Salvare la diversità significa dunque tutelare la possibilità di incidere con il proprio stile nelle grandi manovre dell’esistenza, laddove un cristiano tiene la bella possibilità di dare fiducia chiedendo in contraccambio non la modifica di un piano regolatore ma la coerenza di un agire che dia senso e significato alla preferenza accordata.
La diplomazia conosce le sue strade, a volte certamente non invidiabili. La politica è a conoscenza dei canali, leciti o meno, attraverso i quali prendersi a cuore e difendere il bene comune. Tra le due ci sta un messaggio cristiano che conosce bene l’unica posizione concessa: quella dell’inginocchiatoio. Che permette, pur poggiando sulla terra, un’unica Direzione. Pena un fastidioso torcicollo.