Due colpi di pistola e un’avvisaglia: abitare e difendere il lato debole dell’umanità non procura vantaggi, ma chiede spesso il prezzo della vita. Un colpo al volto, quel volto che a detta degli amici sprizzava la luce di Cristo ai margini dell’Amazzonia: uccisa la lucentezza di uno sguardo. E un colpo alla nuca, dentro la quale regnavano pensieri per realizzare un angolo di Regno di Dio tra la sua gente: uccisa la libertà del pensiero. Don Ruggero è stato freddato vicino alla sua chiesa, così vicino da dare un segnale chiaro e senza fraintendimenti: una chiesa che non disturba non ha nulla da temere. Siamo nella scia luminosa di chi ha testimoniato con la vita l’appassionata fedeltà del Vangelo di Cristo: dai primi martiri della storia del cristianesimo ai martiri anonimi delle nostre strade è cambiato poco o nulla. All’inizio c’erano le fustigazioni, le graticole e i leoni; oggi è l’indifferenza e l’adulazione della menzogna a fare di gente “della porta accanto” coraggiosi testimoni di un messaggio che non promette sconto alcuno.
E la chiesa di Padova ha pagato spesso e volentieri il prezzo di figli caduti nel campo di battaglia della fede.
Si parte per annunciare Cristo, perchè un fuoco s’è inabissato nel cuore e non lascia in pace finchè non è condiviso con i fratelli con i quali ti vien chiesto di firmare un pezzo di strada. A volte sono pochi mesi, altre volte anni, forse qualche decennio: ma sono i tempi di quel Dio ai cui occhi mille anni sono come il giorno di ieri che è passato, con un turno di veglia nella notte (Sal 90,4). Si parte con una bisaccia, la bisaccia del cercatore di Dio: un Vangelo, una speranza, un popolo da amare. Chi parte sa che un giorno potrebbe anche non tornare: ma su tutto prevale la passione per Cristo che porta a sconfinare i limiti inventati dall’uomo, a tentare nuovi pascoli, stringere mani nuove. Li ammazzano, dal primo all’ultimo, per una ragione molto semplice: perchè spendono una vita, la loro vita, ad insegnare alla gente umiliata che gli occhi ci sono per essere alzati, per guardare la realtà, per non soccombere sotto le intimidazioni nemiche. Salvatore Grigoli, il sicario che ammazzò don Pino Puglisi, ammise pubblicamente che per tante notti successive al delitto era il sorriso rubato in quegli ultimi frammenti sul volto del prete a tormentarlo. E sulle terra di quel sorriso pose le radici la sua storia di conversione. Il sangue dei martiri è da sempre germe fecondo di vita nuova.
C’è chi parte, c’è chi resta: perchè ovunque un prete tiene l’anima del missionario. Qualcuno insegna ai poveri a ribellarsi ai latifondisti, ai trafficanti di droga, alla criminalità organizzata. Qualche altro risveglia il coraggio della ribellione all’indifferenza, ad un’esistenza senza morale, ad uno stile che profumi di verità e di speranza. Entrambi sono accomunati da quell’invito che non li vuole maestri, ma testimoni per accendere nel cuore di chi incontrano la passione di cercare la via che conduca alla salvezza: perchè, come insegnava don Bosco, la passione non la si insegna, ma si comunica e si partecipa. Un confratello è stato ammazzato nell’anno in cui il Papa invita la chiesa intera a pregare per i suoi sacerdoti: un’occasione bella per stringersi attorno a quell’uomo di Dio che – nella piazza di paese, ai margini della foresta o nella corsia di un ospedale – sfida l’indifferenza e la morte per condividere il sogno di vedere accesa la festa del cuore nelle case della gente.
Tanti vengono ammazzati col sorriso sulle labbra: perchè convinti che quaggiù siamo tutti apprendisti per conto di un Dio che chiede di morire per risorgere ad una vita nuova.