policarpoProfumo di pane cotto e d’incenso. A Policarpo diedero fuoco, ma le fiamme composero una specie di vela come protezione. Dovettero usare una daga per colpirlo nel petto: il getto di sangue estinse il fuoco e Policarpo morì. Lacerati nel corpo in nome di Cristo: ieri e oggi.
Rapite il 10 novembre 2008 nei pressi di Elwak, un villaggio nel Kenya settentrionale, di Rinuccia Girando e Maria Teresa Olivero, due suore italiane, non s’ode notizia da tempo. Insinuano che siano in mano dei talebani somali, di certo mediaticamente sono avvolte nel nulla. Pure in Italia – non fosse stato per le parole di Benedetto XVI il giorno di Natale che ne ha invocato la liberazione – è calato un silenzio pietoso sulla loro sorte. S’avessero sventolato qualche bandiera colorata, se fossero scese per esaltare destra o sinistra o semplicemente in nome di un’associazione umanitaria, almeno una petizione per liberarle sarebbe stata firmata. Sarebbero state trattate allo stesso modo di decine di ex-ostaggi ora ri-accreditati alla vita d’un tempo. Invece per loro due nulla: dal momento che erano scese a nome di Dio. Una vita vissuta nella quotidiana difesa dei più piccoli, di quei bambini neri che da due mesi non incrociano più il volto di due donne che per loro saranno state mamme, custodi e protettrici. Se non altro nutrimento della loro speranza in un mondo migliore.
La storia del loro rapimento e dell’indifferenza che le avvolge è un messaggio chiaro e provocatorio per il cristiano che s’avventura nel terzo millennio: la testimonianza all’Uomo della Croce è ancor oggi motivo di scandalo, occasione di morte, rischio di oblio per chi la vive nel cuore. Nel tempestoso ritmarsi di tempi sempre più faticosi da abitare, oggi il messaggio cristiano, se credibile, disturba e infastidisce ancora l’uomo che ha deciso di fare a meno di Dio. Per qualcuno il cristianesimo potrà essere ancora folklore, emozione ed estetica delle belle pietre, dei templi e delle vetrate affrescate. Ma non è certo questa la fede capace di modificare un’esistenza o di firmare gesti coraggiosi e provocatori. Il trattamento riservato alla sorte di queste due suore ci manifesta il lato crudo ed entusiasmante della sequela di Cristo: quello di una fede che non teme di rischiare la vita pur di risvegliare i passi dell’umanità. Una fede che torna a ricaricarsi nella splendida domanda raccontata oggi dal vangelo: “Maestro, dove abiti?” (Gv 1,35-42) E nella faticosa risposta di Gesù che, genialmente, accende la curiosità: “Venite e vedrete”. Cioè: rischiate l’avventura.
Il curato di Bernanos ricordava che “non si perde la fede, essa cessa piuttosto di plasmare la vita”. Ma una fede incapace d’incunearsi nelle feritoie dell’esistenza, riuscirà ad accendere nel cuore annoiato dell’uomo d’oggi lo stupore di un Dio che chiede di perdere la vita per poi ritrovarla?
La Chiesa nascente conobbe il martirio del fuoco, della decapitazione, delle frustrate. Era l’epoca delle grandi passioni, dei forti sentimenti e dagli ideali giganti. Oggi, nell’epoca dell’intelligenza e dei lumi, il martirio è far apparire ridicolo fino alla dimenticanza un gesto firmato dal cuore di due donne.

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