Quintali di materiale, chilogrammi di prodotti o di semplice mercanzia perchè un sacco stia in piedi. Sacco pieno, sacco vuoto gridano ancor oggi in frotta i bambini festanti nella contrada di paese. Il fuoco invece è cosa diversa: una foresta intera, una stalla di montagna, una balla di fieno o un semplice foglio di carta basta una scintilla per divorarli. Piccolissima cosa la scintilla, ma della sua potenza rendono memoria le imprese dei Vigili del Fuoco. Il sacco si riempie, il fuoco s’accende. Il primo devi continuare a tenerlo in piedi, il secondo – una volta acceso – non l’arresti più. Il sacco non matura con gambe proprie, il fuoco avanza ritrovando la forza in se stesso. E rigenerandosi con fantasia.
Il bambino gioca a fare il sacco: pieno o vuoto dipende da chi lo manovra. Un educatore che sia tale, oggi, sa che il futuro non sta nel riempire un sacco, bensì nell’accendere un fuoco. Prospettiva assai diversa perchè dalla scelta tra sacco e fuoco dipende il domani e la luminosità di coloro che educhiamo. Prendete un educatore che immagini il ragazzo come un sacco: farà di tutto – magari con la coscienza pure ordinata – per vedere questo sacco riempirsi, gonfiarsi, ingolfarsi. E poi ne sigillerà l’entrata per non perdere il contenuto: stringendo il laccio a piacimento. Poesie a memoria, vizi capitali e precetti cristiani riscritti centotredici volte, nozioni di morale, promemoria di vestiario, catechesi ordinaria. E poi le tabelline, il galateo, il vestiario, le raccomandazioni, i sermoni, l’astenersi dal creare novità, il diktat della ripetizione. E, al sorgere di ogni primo mattino, interrogazioni, quesiti e investigazioni per vedere se il materiale appreso è ben sistemato nella memoria. Duro l’avvenire di quel maestro che vede nell’alunno un sacco da riempire: la frustrazione presto s’impossesserà del suo animo nel vedere che le nozioni apprese non hanno accesso nulla nell’immaginazione. Se non il proposito d’abbandonarle appena terminata la maturità. O fatta la Cresima. Perchè tra sacco pieno e sacco vuoto la differenza e minima: sempre passivo rimane il sacco. E a riempirlo – svuotarlo – farlo marcire ci pensano sempre e solo gli altri.
Storia densa d’intrigo, invece, quella dell’educatore che immagina d’avere a che fare col fuoco. La sua fatica non sarà quella di far apprendere e conoscere tutto il sapere umano, tutta la teologia e l’aritmetica, la biologia, la zoologia e la enigmistica, la botanica, la letteratura e la galanteria. La sua fatica tiene lineamenti di tutt’altro spessore. Sarà compito suo quello di liberare e lanciare quelle pochissime parole che – scagliate come un dardo infuocato nel cuore dell’alunno – lo accedano e ne inizino la fiammata. La sua missione finisce lì, nell’attimo in cui una parola s’inabissa nella sua immaginazione fino a sciogliere tutta la complessità del suo animo. E mostrarne la divina semplicità di cui è composto.
Il sacco contiene ma anche trattiene. Il fuoco brucia, libera e riscalda. Non per nulla l’altissima teologia convoca il fuoco per parlare dello Spirito e della sua creativa fantasia. Chissà perchè – dopo annate di risultati frustranti e mastodontici – ancor oggi chi tiene la corda dell’educazione s’ostina ad entrare in classe o in oratorio con la cartella ingiallita sotto il braccio e la lezione già pronta. Evitando con ogni accuratezza d’incrociare lo sguardo dell’alunno che sente il fuoco nel cuore ma nel registro vede i lineamenti del sacco.
Basterebbe saper giocare a scacchi per dichiarare fallita una certa fetta dell’educazione: e offrirle la pensione nonostante l’innalzamento dell’età pensionabile. Sta nelle istruzioni per l’uso del gioco degli scacchi che nessun giocatore può muovere le pedine dell’avversario a proprio piacimento. Ma solamente spingere l’avversario a spostarle muovendo con astuta furbizia le proprie. Nasce lì la considerazione e il rispetto riservato al grande giocatore.
Perchè il contrario della meraviglia non è la bruttezza. Ma l’inutilità.