Antoine morì come aveva vissuto: immerso nella leggenda. Per scoprire di non essere mai morto del tutto. La mattina del 31 luglio 1944, settantotto anni fa oggi, dentro l’abitacolo del Lightning P38 F5B num. 223 – che sarebbe dovuto rientrare alle 12.30 del medesimo giorno – sedeva Antoine de Saint-Exupéry, lo scrittore-aviatore francese, in procinto di compiere la sua nona missione in zona di guerra. Antoine, invece, non fece più ritorno sul pianeta terra, il pianeta tanto caro al suo piccolo principe. Che, nel frattempo, è diventato così grande da finir per nascondere il suo papà letterario, facendolo avvizzire come un sempliciotto. «Se verrò ucciso, io non rimpiangerò assolutamente niente. Il formicaio futuro mi spaventa. Odio la virtù da robot. Io ero fatto per essere giardiniere» – scrisse in uno degli ultimi appunti ritrovati giorni dopo la scomparsa nella sua stanza da letto. Le lenzuola del suo letto erano ancora in ordine: la sua ultima notte fu una nottata di veglia, di annotazioni, di profezia. “Morire non è niente quando si sa per chi si muore” avrebbe, forse, rilasciato a mò di commento della sua morte.

Una vita leggendaria la sua, come leggendario risultò essere il suo amore per Consuelo, la donna di carne nascosta dietro la rosa cantata nel capolavoro che l’ha reso immortale, Il Piccolo Principe, per l’appunto. Fu un uomo, Antoine, che visse per scrivere e non il contrario: faceva il “pieno” di vita – soprattutto nei suoi voli fiabeschi – per poi sentirsi meglio equipaggiato a cogliere il dramma, la precarietà, i confini dell’esistenza umana. E tentare di saziare la smisuratezza di un sogno che sempre lo tormentò, fin da bambino: ridare all’uomo un significato spirituale. Soffriva quando vedeva l’uomo spegnersi, lasciarsi andare, accettare le cose come venivano, senza rischiare di metterci del proprio: «A tormentarmi non sono né quelle cavità, né quelle gibbosità, né quella bruttezza. Mi tormenta che in ognuno di questi uomini c’è un po’ Mozart, assassinato». Quando vedeva ciò, avvertiva ancor più l’urgenza di risvegliare la grazia perduta, di ringiovanire la bellezza dell’essere umano. Quella stessa bellezza che il Novecento – secolo nel quale è vissuto – ha deriso, beffeggiato e bestemmiato. E che Antoine, con parole dense di poesie e baciate dall’inventiva fanciulla, ha tentato in tutti i modi di far diventare denuncia, proposta, speranza, promessa e invocazione.

Una sorta di mistico a tutti gli effetti, senza l’avvallo della Chiesa ufficiale.

(M. Pozza, da “Specchio” de La Stampa, 31 luglio 2022)

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