L’avvisaglia, ai pellegrini in uscita da Betlemme, è nascosta nella colomba dipinta nel 2005 dal writer inglese Bansky nei pressi del muro di separazione dei territori palestinesi da Israele: è una versione provocatoria della colomba della pace, con indosso un giubbetto antiproiettile, nel becco un ramo d’ulivo, il mirino puntato sul cuore. L’ha intitolata “Armored dove of peace” (“La colomba della pace corazzata”). Non è piaciuta a tutti, però sta lì: all’uscita del check point per chi lascia Betlemme, all’ingresso della Palestina per chi entra dalla città di Gerusalemme. Qui, insomma, la libertà ha un prezzo, è un rischio, non è ancora accaduta appieno. Qui, a girarsi attorno, c’è l’ingombro di un muro che ostacola l’orizzonte. Dal 2002 Israele ha cominciato a costruire una barriera di separazione con la Cisgiordania: 764 i km pianificati, 570 quelli finora costruiti. Per i palestinesi è il “muro dell’apartheid, della vergogna”, per gli israeliani è una “misura di sicurezza israeliana”: per chi l’oltrepassa, è un muro, con tutto quello che un muro significa in fatto di libertà. “Più libertà? – pare dire chi ama costruire muri – Allarghiamo la gabbia: è un problema?” Per noi, che la libertà d’andare e venire ce l’abbiamo scritta nel passaporto, pare evidente che la maggiore delle minacce alla libertà non è quella di vedersela togliere – perchè, tolta, la si potrà sempre riconquistare – ma nel disimparare ad amarla. O nel temerla oltremodo, per averla ottenuta rendendo schiavi gli altri. Com’è stato nel caso di Erode.

A Masada, patrimonio mondiale dell’Unesco, è evidente che l’uomo creda di volere la libertà a tutti i costi. Poi, però, ne avverte subito la paura: “Perchè?” potrà chiedere qualcuno. Semplice: la libertà obbliga a prendere posizione, e la semplice presa di posizione implica sempre il rischio. Erode il Grande (quanto è buffo quest’aggettivo!) sognava piena libertà con pieni poteri: poi, però, si era costruito la sua fortezza, inespugnabile a sentire lui, lassù, in cima alla rupe di Masada, con vista Mar Morto. Ai pellegrini saliti là in alto (in funivia) pare chiaro che Erode temesse il nemico, ma non gli riuscì di capire che nessuno è libero se non è padrone di se stesso. Lui, pace all’anima sua, nemmeno sul suo cuore mostrò d’essere padrone completamente, ossessionato com’era dalla smania di potere. Ciò che accadde dopo a Masada – le vicende che videro protagonisti gli ultimi fuggiaschi ebrei che si sono uccisi tra loro per non cader in mano al nemico – ci consegnano un esempio dell’infinita lotta dell’uomo tra l’oppressione e la libertà. Per molti la libertà pare la facoltà di scegliere le proprie schiavitù.

Anche Cristo, a conti fatti, dovette scegliere da che parte stare, gli toccò di prendere una posizione netta in fatto di libertà. La sua posizione è ancora oggi visibile al pellegrino che si avvicina a Qasser Al-Yahud, terra bagnata dal fiume Giordano. La terra dove Cristo, appena uscito dalla stamberga di silenzio della sua città, si fece battezzare dal cugino. Scelse di stare in mezzo, di scendere al punto più basso della terra (siamo a -400 m sul livello del mare, nel mezzo della depressione del fiume Giordano), di incolonnarsi ai peccatori, di non usufruire di nessun scudo di protezione, né tantomeno di erigere un muro tra sé e gli altri. Il suo scopo era quello d’ammaestrare l’uomo a desiderare la libertà, sfidando la tentazione di farsi schiavo di qualcun altro: “Fate attenzione – sembrano dire al pellegrino queste terre carbonizzate dalla canicola -: sono pochi gli uomini che desiderano la libertà. Sono di più gli uomini e le donne che si augurano solo un padrone giusto”. Smettiamo di difendere un Dio morto e andiamo a raggiungerlo nella carne delle sue creature. Toccare senza guanti il corpo di Dio è permesso: è ciò che Gesù ha reso possibile per i peccatori, sgomitando con loro nel punto più basso dei Vangeli, nelle acque del Giordano.

Con il fiume alle spalle, poi, il pellegrino punta in direzione del deserto di Giuda, attraverso la terra misera di Gerico, il paese che diede i natali allo strozzino Zaccheo e a Yasser Arafat, simbolo per eccellenza della causa palestinese. Sulla nuda roccia staziona il luogo delle tentazioni: lì, o lì in zona, il Demonio si fece la pipì addosso sfidando Cristo. Non aveva computato, lui che sapeva citar la Scrittura a menadito, che il cristianesimo che gli si stava per annunciarsi davanti non era un rischio calcolato, ma un’irruzione improvvisa della Grazia. Un Bambino inerme, quella volta, battè a tavolino un sovrano tetro e trincerato nella sua fortezza: roba da cappottarsi dalle risate! Ancora un check-point per rientrare a Betlemme: anche stanotte dormiremo prigionieri. Magari senza accorgercene, tant’è discreta e momentanea la libertà. A maggiore ragione quaggiù, dove tutto sembra così semplice da complicarsi spaventosamente. Da non accorgercene nemmeno.

(da Il Sussidiario, 4 agosto 2022)

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Tappe – (Da Masada, la fortezza emblema dell’insicurezza di Erode, a Qasser Al-Yahud, il luogo dove il Battista battezzò Gesù. Passando per Gerico, il paese di Zaccheo e di Yasser Arafat)

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