image_13Intrigante come una donna e misteriosa come le cose che non passano. Non tieni i soldi del pallone, il rombo dei motori, la fantasmagoria dello sci. Ma ti fai forte di una costanza unica da chiedere ai tuoi amanti. Partono in tantissimi per rubarti lo scettro, ma pochi s’avvicinano alla bellezza di un traguardo che chiede mesi d’allenamento, di costante e meticolosa preparazione: colui che s’addentra tra le pieghe dei tuoi intrighi sa di mettersi in gioco come in poche altre discipline. Perchè all’atleta tu chiedi la testa per poterti stringere: altri chiedono la forza dei muscoli, lo spirito della squadra, la veemenza del gesto. Tu sei questo, ma anche molto di più: nel conto addebiti pure l’ordine e la compostezza di una mente da allineare.
Tra noi non fu amore a prima vista. Anni fa mi cacciasti dai tuoi pretendenti ancora in fase di preparazione, m’abbandonasti in quell’argine che da Padova porta verso il mare e mi rinfacciasti che la testa dev’essere leggera per non appesantire il ritmo. Giurai che non t’avrei mai più corteggiato: feristi il mio orgoglio di montagna. Ma ti seguii da lontano, senza che tu mi vedessi, perchè qualcosa tra me e te s’era acceso. Seppur sprezzante nei tuoi confronti, certe tue note m’incuriosivano: passione, sacrificio, caparbietà, sudore, gloria, conquista, addestramento, travaglio, inseguimento. Eppoi il limite, l’ardire, la sfida, l’oltre. Parole che raccontano di un viaggio interiore, di un’attrazione potente, di un bersaglio individuato. Cassius Clay annotò nel suo diario: «Ho odiato ogni minuto d’allenamento ma mi dicevo: non rinunciare. Soffri ora e vivi il resto della vita da campione». Lessi quella frase all’ingresso del mio centro sportivo a Roma e decisi che t’avrei sfidato: convinto che la vittoria non sarebbe stata solo sportiva, ma sopratutto umana.
L’anno scorso a Padova ti promisi battaglia: al primo tentativo mi fermai appena sopra il muro delle tre ore: un sogno. Nella calura della Grecia estiva decisi di riprovarci sui ponti di Venezia: ti rubai altri 12 minuti e il cronometro si bloccò a 2h 51m. Da vicino sembravi sempre più bella. Così a gennaio ho riannodato la sfida: sotto il vento e l’acqua, sopra la neve e il gelo, tra le ville di Roma e le asperità del Trentino volevo avvicinarmi ancor più al tuo sguardo. Per scherzo ti tesi un tranello a Roma, seppur malaticcio: ti rubai altri 2 minuti e bloccai il tempo a 2h 49m: il Colosseo dietro di me rimandava l’urlo delle vecchie fiere cantate dai romani. Il giorno dopo, a gloria smaltita, già era segnata una città: 25 aprile 2010, Padova. Per inseguire una sfida che, sfidandoti, t’allena ad ordinare il cuore, la mente e il futuro.
Certi amanti recano mazzi di rose e giocano con lo stupore. Io t’offrirò oltre 1600 km di sudore, tre mesi d’allenamento, quattro paia di scarpe distrutte dalla terra e una caparbietà tutta mia. Ma se tutto questo non bastasse per rubarti qualche carezza in più (che per me significano minuti in meno), non mi dispererò: perchè mi rimarrà nel cuore la bellezza d’averci provato.
Spinto e sospinto dalla passione della vita.

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