direzioneobbligatoriaEra appena sorta la settimana che la fede cristiana addita come santa, che sul cellulare iniziavano a pervenire i primi messaggi recanti l’augurio di una felice Pasqua. Eppure s’era appena entrati a Gerusalemme, la folla era ancora trionfante e quel Messia poteva ancor dare adito a qualche speranza di sollevazione popolare. Auguri, pertanto, un po’ strani e fuori misura quelli partiti giorni fa: forse firmati da gente indifferente al lato cristiano della settimana, da uomini e donne stranamente protesi già alla domenica della gioia, forse da qualcuno che vorrebbe saltare in tronco il mistero della Passione e della Croce che anticipa il Sepolcro trovato vuoto. Sarà perchè l’uomo nutre sempre più paura del tempo che scorre, della giovinezza che va scemando, di un’esistenza costellata di troppe croci e poche risurrezioni: fatto sta che saltando dalla domenica della palme alla domenica della Risurrezione si smarrisce la possibilità d’incontrare i tanti personaggi – variopinti nella loro umanità e nella loro fatica di credere – che abitano le strade del Vangelo di questi giorni.
Perchè la settimana che conduce a Pasqua è una liturgia di storie, di fatiche e di speranze unica da eguagliare nella letteratura dell’uomo. Vi si trovano le aspettative un po’ erronee di discepoli impauriti della piega che sta prendendo la loro avventura di fede, l’infuocata passione e l’acerbo tradimento di colui che nella storia diverrà il primo Papa della Chiesa, la santità rubata sul limite della morte da un ladrone che nell’atrocità della sofferenza riconosce il volto del Messia, il bacio pesante e il cuore abbandonato da tutti di un discepolo che la storia s’intestardisce ad additare come “traditore” ma che Cristo chiamò sino alla fine “amico”, la ferocia inaudita di un popolo in preda all’isteria collettiva, la mistificazione della politica che imbastì un processo tutto particolare ai danni dell’Eterno, la fuga e il sonno dei discepoli che – innamorati come dicevano d’essere – avrebbero dovuto vincere la mestizia con la vicinanza del Maestro e la coraggiosa perseveranza di una donna, Maria di Nazareth, che lungo tutto lo scorrere dei Vangeli – dalla stalla di Betlemme alla Croce del Golgota – si mostra sempre più Donna fedele. Ma sopratutto vi si trova la sofferenza e l’angoscia di un Dio che di fronte alla morte sente la lontananza e l’abbandono del Padre: fino a far scendere sulla storia il silenzio composto e misterioso di tutto il Sabato Santo in cui la terra, come Dio, tace.
Chi salta dal tripudio delle Palme al trionfo della Risurrezione – percorrendo una circonvallazione vietata nel codice del Vangelo – smarrisce la forza dirompente dell’umanità nascosta lì dentro: dei discepoli che tradiscono e si nascondono nelle loro tane, di un futuro Papa titubante ma sempre pronto a riprendersi, di una storia che gridava a Dio il peso di una schiavitù, di un brigante che sorpassa tutti – apostoli compresi – nella scalata verso la santità. Ma, più di tutto, si smarrisce il segreto che trasuda e inabita ogni singola parola del Vangelo: che nella Croce campeggia la segnaletica per giungere alla Risurrezione. Credere a Pasqua – come poeticamente scrisse padre Turoldo – non è giusta fede: troppo bello il Cristo in quel mattino tutto ebraico. Fede vera è il Venerdì Santo quando Lui non c’era.
Eppure oggi qualcuno varcherà la soglia della Chiesa perchè è Pasqua: come quando fu Natale. O la ricorrenza dei defunti. Forse lo farà per abitudine o per caso: ma tante volte il caso altro non è che il vestito che Dio usa per viaggiare in anonimato dentro le strade della storia: per affiggere anche sulla croce della distrazione la segnaletica della Risurrezione.

Buona Pasqua!

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