Il bene non è come il male. Viaggia a fatica, incontra ostacoli sul proprio cammino; spesso, è contrastato, contestato e, talvolta, persino deriso.
È di questi giorni la notizia di 238 euro raccolti in favore delle popolazioni duramente provate dal terremoto in Umbria. Cifra modesta, forse irrisoria, che qualcuno ha giudicato perfino ridicola o inutile («Cosa se ne fanno, i terremotati, di 238 €?»). Commenti simili denotano scarsa conoscenza della razza umana. Una quantità non è mai solo una quantità: è differente, anche di molto, in base a chi dà e chi riceve.
Un pasto caldo non è solo un pasto caldo. Per chi ha perduto tutto in seguito ad un terremoto e non sa cosa gli riserverà il futuro, è un sorriso che si accende verso una speranza nuova per il domani che viene e ravviva la voglia di ricominciare.
Se poi pensiamo che ad offrire quel denaro sono agricoltori poverissimi di uno sparuto gruppo di villaggi del Congo, dove vivono senza acqua corrente né elettricità, inviato in segno di grata riconoscenza ai connazionali e compaesani in difficoltà di chi si prodiga e spende senza posa per loro, allora tutto ciò assume un sapore diverso. Perché significa occuparsi amorevolmente di chi ha per disagi temporanei quelle che sono per oro mancanze permanenti.
Profuma di Vangelo. Perché non possiamo che chiudere gli occhi e pensare a quella scena (Lc 21, 1 – 3): il maestoso tempio di Gerusalemme, gremito di fedeli, molti dei quali sono ricchi che, pomposamente, gettano nel Tesoro una briciola dei loro averi, ma avendo cura che sia grossa, preziosa, scintillante e tintinnante: che tutti si accorgano, insomma, che c’è qualcuno in grado di disfarsi di gioielli di quel valore senza starci a pensare troppo. Perché lui (lei!) se lo può permettere. Tutto ciò suscita l’ammirazione di molti; probabilmente, discepoli compresi. Il Maestro, però, ci ricorda che «Dio guarda il cuore» (cfr. 1Sam 16, 7) e, in quell’ostensione di vanità, riesce ad auscultare il rumore di una piccola monetina, che si tuffa a far compagnia alle altre, rilasciata probabilmente da una mano vergognosa di non poter dare di più, che vorrebbe quasi nascondersi. Ed invece, per volontà divina, si ritrova, coi riflettori puntati addosso, sul palcoscenico della Storia, da duemila anni a questa parte.
Ho ancora negli occhi, vivo ed intenso, un ricordo legato alla terra africana di Ngozi (Burundi, Africa Centrale), che mi ha riempito il cuore. Il gruppo con cui ero andata a far visita ad un centro che si occupa di ragazzi di strada, aveva deciso di distribuire tra i ragazzi dei biscotti (prodotti tramite il laboratorio organizzato dal centro stesso, così da fare doppiamente del bene). Quando arrivarono davanti a me con il sacchetto, il ragazzino che mi stava in braccio ne prese uno, che poi mi porse. Io avevo imparato quanto fosse sacra, in Africa, l’ospitalità: davvero erano capaci di togliersi il boccone migliore, per un ospite. Anche se quello era l’unico boccone. Quindi, inizialmente, tentennai, nel mio diniego: solo dopo essere stata rassicurata che anche a noi li avrebbero dati, di lì a poco, fu per me risposta accettabile anche per un africano, così glielo dissi, in francese. Lui sorrise e mangiò il biscotto, con gusto e soddisfazione: pur non mancando loro nulla di essenziale, sicuramente, il centro non li viziava e ciò rese ancora più palese che non era certo per disfarsene che me lo aveva offerto!
Quante storie di questo tenore lessi, prima e dopo il mio viaggio! Di ragazzini che correvano per mano verso la merenda promessa al più veloce. Molto spesso, non lo nego, mi trovai a pensare che fossero esagerazioni lontane dalle realtà o idealizzazioni dell’Africa.
Senza dubbio, il bello e il brutto sono dovunque. Quando, però, leggiamo di queste storie, proviamo a pensare che sono vere. E, se non lo sono, potrebbero esserlo, ma non hanno ancora trovato la forza di arrivare fino a noi e “fare notizia”. Allora, forse, potremo capire perché ci “passeranno avanti nel Regno dei Cieli” e potremo finalmente trovare il coraggio dell’umiltà di lasciarci evangelizzare da loro!
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