M. Pozza, Rizzoli, 2023
Un Uomo arriva sulla riva di un lago, il “mare di Galilea”. Osserva quel povero “spettacolo di gente”, pescatori spettinati, affannati, intrappolati in vite vuote. “Il mondo, tutt’attorno, aveva freddo: Lui, da parte sua, voleva accendere il fuoco, per scaldarlo un po’ questo mondo che da trent’anni abitava. Serviva della legna, quella che non aveva. Lui, però, sapeva come si fa ad accendere il fuoco: si batte e si ribatte una pietra contro un’altra. Le pietre da sbattere, poi la legna e il vento. C’è solamente un segreto da calcolare: mai stancarsi. E la scintilla, prima o poi, scoccherà.” Ognuno fa il fuoco con la legna che ha, e la legna bagnata con cui Gesù scalderà il mondo sono dapprima gli apostoli e poi tutti coloro che accettano di accendersi alla Sua parola. Alla “parola di Dio” dell’anno liturgico B, in cui si legge il Vangelo di Marco (con inserti dal Vangelo di Giovanni), è dedicato il nuovo libro di don Marco Pozza, il secondo volume della trilogia cominciata con Chi dorme non piglia Cristo. Dalla I domenica d’Avvento alla XXXIV del Tempo ordinario, la Buona Novella accompagnata dai commenti “a tratti quasi eretici” di don Marco scava nella mente e nel cuore di credenti e non credenti, mette in discussione le certezze, pone domande e lascia spazi “a disposizione di chi vorrà passare parte del suo tempo a scandagliare gli abissi dell’anima: quando si guarda fuori da un finestrino si inizia a sognare, quando si guarda dentro se stessi si inizia invece a svegliarsi”.
M. Pozza, San Paolo, 2023
In un paesino come tanti, ricco di persone di chiesa e di persone di “bordello”, di uomini onesti e disonesti, giunge, come un tornado, un nuovo prete. Il suo non è un compito facile, chi lo ha preceduto è stato cacciato dalla gente e dal suo, sventurato, comportamento. Don Juliàn ha alle spalle una storia difficile, che parla di carceri e violenza; ma grazie a lui gli abitanti del paese imparano a conoscere un modo nuovo, diverso, di credere; un modo forse soltanto dimenticato, nascosto dietro processioni, riti svuotati di significato e fraintendimenti su che cosa siano davvero bellezza e amore. Il don diviene così una pietra di paragone per tutti, credenti o meno, e li obbliga a fare i conti con la realtà della vita, che è difficile ma meravigliosa. Un romanzo corale, un moderno Diario di un curato di campagna, pensato per chi abita le città, il paese, le campagne di oggi.
M. Pozza, Rizzoli, 2022
L’Evangelo ha “parole d’una violenza inaudita: il loro attrito è febbrile, la loro sintesi più breve è pur sempre un invito perpetuo alla rivoluzione. Rivoluzionare me stesso: ‘Puoi sempre ricominciare!’ mi viene ripetuto una riga sì, l’altra anche”. È sconcertante uno sguardo così: “pare che non sia più il figliolo prodigo a chieder perdono al Padre suo; sembra (quasi) che sia il Padre a chieder scusa al figliolo scostumato. Fingendosi dalla parte del torto pur di riciclare la mia vergogna”. Il nuovo libro di don Marco Pozza è un’avventura lunga un anno in compagnia della “parola di Dio” che, dalla prima domenica d’Avvento, si ascolta nelle messe festive durante l’anno liturgico A, quello del Vangelo di Matteo (con qualche inserto dal Vangelo di Giovanni). È un libro scritto pensando al dramma di chi ha perso Dio, di chi non lo trova più, di chi non lo ha ancora trovato. Senza fame e sete nessuna pesca inizierà: chi ha il cuore freddo, chi dorme – chi ha il sonno della pancia piena – “non piglia Cristo”. È un libro di divagazioni orizzontali, scavi in profondità, ospitalità accoglienti nei Vangeli domenicali. “Condivido le domeniche fuori porta dell’anima mia” scrive don Marco. “Sono gite, vacanze, escursioni sul sentiero che conduce a Cristo e ai suoi segreti misteri. Quando esco di casa, la mia vita mi appare confusa, intricata, un po’ inespressa. Quando rientro dopo averli incontrati, mi pare di vederla in HD, un po’ più in alta definizione. Mi conosco un po’ meglio, mi accetto un pizzico in più.”
M. Pozza, San Paolo, 2021
Adesso è facile, «basta il suo nome, Maria, perché gli uomini esagerino, non capiscano più nulla. La chiamano povera donna, Madonna, bella donna. L’Immacolata, l’Avvocata, la Regina. I poeti han grattato il fondo del barile per escogitare le parole più giuste, le meno slabbrate, le più ardite». Lei, però, ama presentarsi con passi felpati, raccontata dalle nonne ai bambini, pregata dai bambini per i nonni. Invocata da santi, delinquenti e criminali. Marco Pozza, “alla prova di Maria”, ne celebra l’unicità tessendo in armonia la devozione popolare, la teologia cattolica, i racconti paesani. Rievoca la storia di Gesuina, una vecchia amica della nonna che, solo nel nome, teneva nascosto l’agguato di Maria. Del suo Figliolo: «Perché Gesuina è la versione femminile del maschile Gesù». Maria è il Gesù in miniatura, «la versione umana più vicina al Dio (dis)umano». Dalla nonna, mentre cucinava i broccoli, impastava i dolci, faceva la pasta a mano: l’ha conosciuta lì, l’autore, la Vergine di Nazareth.L’invidia di Satàn, l’imbecille fatto carne.Il libro è un viaggio dissacrante e profondo attraverso le quattro stagioni della Vergine, con sullo sfondo i venti misteri del santo Rosario, «la corda di impiccagione di Satàn» come gli ha insegnato la nonna. Una storia ch’è tutt’ora muro di cinta tra il tempo e il non-tempo. Tra l’uomo mortale e il suo Dio. Storia di una Madre, affidata alle labbra: «Dovevate sentire nonna recitare il rosario!».
Papa Francesco con M. Pozza, Rizzoli, 2021
A Padova, nella Cappella degli Scrovegni, uno dei massimi capolavori dell’arte occidentale, Giotto racconta il percorso della salvezza umana attraverso le storie di Gesù e di Maria sulle pareti e il Giudizio Universale sulla controfacciata. Nel registro inferiore, in bianco e nero quasi fossero formelle in bassorilievo, Giotto dipinge le quattro virtù cardinali e le tre teologali alla destra del Cristo giudice, e alla sinistra sette vizi che delle virtù rappresentano il contraltare. Proprio a queste coppie di opposti – ingiustizia-giustizia, incostanza-fortezza, ira-temperanza, stoltezza-prudenza, infedeltà-fede, gelosia-carità, disperazione-speranza – è dedicata la nuova conversazione tra Papa Francesco e don Marco Pozza. Le virtù sono le strade che conducono alla salvezza, i vizi quelle che finiscono nella perdizione: “Le virtù ti fanno forte, ti spingono avanti, ti aiutano a lottare, a capire gli altri, a essere giusto, equanime. I vizi invece ti abbattono. La virtù è come la vitamina: ti fa crescere, vai avanti. Il vizio è essenzialmente parassitario”. Riflettere su questi temi serve a “capire bene in quale direzione dobbiamo andare, perché sia i vizi sia le virtù entrano nel nostro modo di agire, di pensare, di sentire”. Per questo, ogni capitolo è arricchito da un testo di Papa Francesco che approfondisce un tema del dialogo e da una storia di vita che don Marco Pozza ha ricavato dalla sua esperienza di cappellano del carcere di Padova. Perché nella vita quotidiana vizi e virtù procedono sempre intrecciati, e questo libro è un percorso che ci consente di ripensare insieme il compito, difficile e necessario, del discernimento tra il bene e il male.
M. Pozza, San Paolo, 2020
Il vuoto: «Mesi di vuoto dappertutto: dentro, fuori, in basso, qualcuno temeva pure lassù. Non è stato così: eppure “benvenuti alla resa finale!- hanno pensato in tanti». È davvero necessario riempire ogni vuoto a tutti i costi? E se quel vuoto fosse stata una misura: “Quanto ti manco?- In una casa, l’unica stanza piena è quella vuota: è tutta colma del suo vuoto, di se stessa. Perché, dunque, riempirla a tutti i costi? In Ciò che vuoto non è l’autore ripercorre gli articoli del Credo alla luce del vuoto dei mesi appena trascorsi: «L’uomo ha diritto di voto, la bellezza ha diritto di vuoto per brillare» scrive. Che nome dare a quel vuoto? Per chi crede il vuoto è una mancanza piena di nostalgia, per chi non crede è un’esperienza mistica: certe domande, comunque, hanno bisogno di vuoto attorno per respirare. Ripartiamo, dunque! Da quel sepolcro che le donne, a Gerusalemme, hanno trovato vuoto il mattino di Pasqua: da allora quella cristiana è una fede fondata sul vuoto, è fede che ha diritto di vuoto. Tra memorie paesane e sprazzi d’attualità, l’autore si concede delle lezioni di lentezza per cercare una risposta alla domanda che ci interpella ovunque, soprattutto sul ciglio dell’afflizione: “Perché credere quando attorno è buio?- Nell’emergenza il Vangelo è uno spicchio di luna a forma di falce: la parte fulgente illumina quella oscura. Che vuota non è.
M. Pozza, Rizzoli, 2020
La sofferenza, la rinascita, la bellezza nella Via Crucis che ha commosso il mondo. Roma, 10 aprile 2020, Venerdì Santo. Nel pieno della pandemia, la Via Crucis celebrata dal Papa non si svolge in mezzo alla folla, nel Colosseo, ma nella piazza San Pietro deserta, sotto lo sguardo dell’antico crocifisso della chiesa di San Marcello al Corso. Le parole che risuonano nella notte della morte e del dolore provengono dalla parrocchia del carcere di Padova: a meditare sulle quattordici stazioni della Passione di Cristo è un’intera comunità di uomini e donne che abita e lavora in questo mondo ristretto. “Mi sono commosso” ha scritto Papa Francesco. “Mi sono sentito molto partecipe di questa storia, mi sono sentito fratello di chi ha sbagliato e di chi accetta di mettersi accanto a loro per riprendere la risalita della scarpata.” In questo libro, partendo dalle meditazioni sulla Via Crucis raccolte e scritte insieme alla giornalista e volontaria Tatiana Mario, don Marco Pozza ha costruito un racconto sulla fede e la risurrezione dei viventi: la Via Crucis di Gesù diventa così una Via Lucis degli uomini, la cui sofferenza è stata riscattata da Cristo in persona. “Mai celebrata una Via Crucis così” scrive l’autore. “Pareva davvero d’attraversare l’Odio desiderando l’Amore.”
Papa Francesco con M. Pozza, Rizzoli, 2020
“Alle volte pensiamo che custodire la Tradizione significhi costruire un museo, un museo delle cose; e la Chiesa diventa un museo. No, la Tradizione è viva, non una collezione di cose, riti è viva. E cresce, deve crescere, come la radice fa crescere l’albero perché dia fiori e frutti. Dobbiamo sempre tornare alla Tradizione per attingervi quel succo, quella linfa che fa crescere.”. Il Credo è la preghiera che contiene, distillata, la linfa vivificante della fede cristiana; per questo, dopo aver percorso, verso per verso, il Padre nostro e l’Ave Maria, in questa terza conversazione con don Marco Pozza papa Francesco affronta le verità della fede, della speranza e dell’amore contenute nell’antico Simbolo degli apostoli. Il risultato è più di una semplice riflessione teologica, è una condivisione che nutre la vita cristiana: “il significato quotidiano, esistenziale, semplice eppure profondo, del nostro essere figli di Dio e dell’amicizia con i fratelli nella fede e con l’umanità intera”. Leggere, vivere, pregare il Credo significa testimoniare la fede nel Dio creatore, nel Figlio che ha donato la vita per la nostra salvezza, nello Spirito Santo, nella Chiesa. Significa vedere attorno a noi – magari in un carcere, come racconta don Marco nella seconda parte del volume – quella risurrezione dei viventi che è la prova generale – la caparra, la dimostrazione – della risurrezione finale. Significa, soprattutto, affidarsi a un Dio “malato di misericordia”. Nelle toccanti parole di papa Francesco: “Immagino il momento in cui, nel tramonto della vita, mi avvicinerò a Dio, sedotto da quella bellezza, con animo umiliato, la testa china; immagino il suo abbraccio e il mio sguardo che si solleverà verso il suo. Non oserei guardarlo senza prima aver ricevuto il suo abbraccio”.
M. Pozza, San Paolo, 2020
Quella cristiana è la storia del riscatto da un sequestro: Satana sequestra l’uomo, Dio paga di persona per liberarlo. È una storia che si intreccia con l’autobiografia dell’autore, scandita da un’originale rilettura dei complementi di luogo imparati alla scuola elementare. Dal giardino dell’Eden alla gattabuia del Demonio, andata e ritorno, è l’indicazione dell’eterno viaggio della speranza. Poiché tutto può il demonio, ma non cancellare dal cuore la nostalgia di Dio. Nulla hanno ancora potuto stragi, graticole, ripicche: la sua memoria è dappertutto. Basterà poco, il bisbiglìo di un Mistero, per risvegliare nell’uomo il sapore del Cielo. Accadrà come per le anatre domestiche, al tempo delle migrazioni: attratte dal grande volo triangolare delle anatre selvatiche di passaggio, esse «abbozzano un balzo maldestro», disprezzando per un istante il pollaio. Seguendo questa intuizione, suggerita da quello straordinario maestro della narrazione che è Antoine de Saint-Exupéry, Marco Pozza, in questo suo nuovo libro ricchissimo di suggestioni, ci racconta una storia che parla di anatre, di gazzelle e di deserti. Di un sequestro e del suo riscatto. Di una Cittadella da (ri)costruire, oggi più che mai, nel cuore dell’uomo.
Papa Francesco con M. Pozza, LEV-Rizzoli, 2018
“Ave, Maria, piena di grazia”: così comincia la preghiera che ci viene insegnata fin da bambini e che, soprattutto nelle difficoltà, riaffiora sulle labbra e nei cuori. “Dio saluta una donna, la saluta con una verità grande: ‘Io ti ho fatto piena del mio amore, piena di me, e così come sarai piena di me sarai piena del mio Figlio e poi di tutti i figli della Chiesa’. Ma la grazia non finisce lì: la bellezza della Madonna è una bellezza che dà frutto, una bellezza madre.” In questo nuovo libro, Papa Francesco affronta il mistero di Maria percorrendo verso per verso l’Ave Maria in un dialogo vivo e fertile con don Marco Pozza, teologo e cappellano del carcere di Padova. La Madonna “è la normalità, è una donna che qualsiasi donna di questo mondo può dire di poter imitare”: “lavorava, faceva la spesa, aiutava il Figlio, aiutava il marito”. Eppure, questa creatura “normale” diventa lo strumento di una nuova creazione, di un nuovo patto: “all’inizio la ri-creazione è il dialogo tra Dio e una donna sola”. Ed è sulla donna e il suo ruolo che s’impernia la riflessione del Papa: “La Chiesa è donna, la Chiesa non è maschio, non è ‘il’ Chiesa. Noi chierici siamo maschi, ma noi non siamo la Chiesa”. Nella seconda parte del volume, l’Ave Maria entra in carcere, segno e mezzo di conversione e consolazione.
M. Pozza, San Paolo, 2018
Una stoffa ricamata con un intreccio di parole. Opera d’artista, di cesello. Il Padre nostro è l’unica preghiera firmata da Cristo. La inventò, tutta nuova, dopo che gli amici fecero pressione: «Signore, insegnaci a pregare» (Lc 11,1). Afferrò al volo sette parole quotidiane – nome, regno, volontà, pane, debiti, tentazione, male – e le organizzò, come covoni di grano, attorno alla parola padre. Detta proprio così, a voce alta, con un imbarazzo inusitato: nacque «questa affettuosa conversazione tra i figlioli e il Padre che è dappertutto» (P. Mazzolari). Nessun’altra preghiera, nei secoli, riuscirà più convincente del Pater, quasi una sorta di riconoscimento di coloro che seguono Cristo. Il contrario di mio è la lettura, dissacrante e profonda, di questa antichissima preghiera: un’operazione di smontaggio e rimontaggio, alla riscoperta di una bellezza erosa dall’abitudine. Come sfondo e compagnia, un acquerello di sfumature randagie raccolte nei Vangeli. Perché, dopo aver pregato il Pater, il contrario di mio non sarà più tuo.
Papa Francesco con M. Pozza, LEV-Rizzoli, 2017
“Ci vuole coraggio per pregare il Padre nostro. Ci vuole coraggio. Dico: mettetevi a dire ‘papà’ e a credere veramente che Dio è il Padre che mi accompagna, mi perdona, mi dà il pane, è attento a tutto ciò che chiedo, mi veste ancora meglio dei fiori di campo. Credere è anche un grande rischio: e se non fosse vero? Osare, osare, ma tutti insieme. Per questo pregare insieme è tanto bello: perché ci aiutiamo l’un l’altro a osare.”. Il Padre nostro è la preghiera che racchiude tutte le altre, quella che Gesù stesso ha donato ai suoi discepoli per rispondere alla loro richiesta: “Insegnaci a pregare”. In questo libro, Papa Francesco la illumina versetto per versetto rispondendo alle domande di don Marco Pozza, teologo e cappellano del carcere di Padova. Le parole insegnate da Gesù entrano in risonanza con episodi della vita di Jorge Mario Bergoglio, con la sua missione apostolica e con le inquietudini e le speranze delle donne e degli uomini d’oggi, fino a diventare la guida per una vita ricca di senso e di scopo. Ogni capitolo della conversazione si conclude con dei testi di Papa Francesco – pronunciati nelle udienze del mercoledì o negli Angelus – che approfondiscono e sviluppano temi cruciali come la paternità, la grazia, il perdono, il male. Alla fine, don Marco Pozza porta il Padre nostro dentro il carcere, e lascia che due suoi parrocchiani diano voce al dolore che percorre le loro esistenze e alla loro speranza di misericordia.
M. Pozza, San Paolo, 2017
“L’iradiddìo” è un viaggio attraverso le quattro stagioni della natura, abbinate alle quattro stagioni della vita di Cristo: l’inverno delle tre ore sul Golgota, la primavera dei trent’anni a Nazareth, l’estate dei tre anni in Galilea, l’autunno dei tre giorni a Gerusalemme. Un’intera stagione della salvezza che mai si è riusciti a misurare completamente: «Di uno come Cristo, il mondo è ancora lì a scervellarsi: “Quanto costa amare così?” L’iradiddìo». L’opera è un ritratto personale di Cristo colto nella sua allegrezza: la lotta tra Lucifero e il Creatore, la bellezza e la menzogna. È la stagione della Chiesa, l’antica storia della Salvezza ridisegnata dal passaggio di Cristo: «La partita è tutt’ora in corso: vite esagerate da una parte, vite senza aggettivi dall’altra». Sullo sfondo, impalpabile, sta all’erta Maria: un’iradiddidìo di tenerezza.
M. Pozza, Aracne, 2016
Per arrivare in orario certe volte è necessario salire sul treno successivo. La differenza non sarà questione di tempo ma d’aver colto il bersaglio: gustarsi la luna di pomeriggio. Lui, negli anni del liceo, assomiglia al sole: al suo passaggio si alza un’iradiddio di oche. Lei, in virtù della teoria-della-serratura, agli occhi di lui è poco più che una fesseria: di pomeriggio si esce a contemplare il sole, non si perde tempo a guardare la luna. Che ognuno vada per la sua strada: «Tieniti le gatte morte. Alle leonesse ci pensano i leoni». All’indomani della maturità, incontrandosi in treno, ammetteranno a se stessi che una risposta giusta, data nel momento sbagliato, è una risposta sbagliata: loro due erano quelli giusti nel momento sbagliato. L’amore era altro: “Trovarsi senza cercarsi”. È il sole che abbraccia la luna: l’eclissi. Ne Il pomeriggio della luna per fare ordine è prima necessario fare disordine. Perché l’eleganza non è farsi notare, ma farsi ricordare: «Luna di pomeriggio è la più bella frase mai scritta in italiano».
M. Pozza, San Paolo, Milano 2015
Dopo “L’imbarazzo di Dio”, Marco Pozza torna a raccontare il vissuto di Gesù, il Nazareno. Con lo stile dissacrante e profondo che da sempre lo caratterizza, Pozza – cappellano di un carcere del nord-est, teologo e scrittore – ci narra di “un Dio in agguato”, che “s’intrufolò tra le viuzze assolate di una terra di confine: vi rimase per un po’ di anni. Compiuti i trenta, scelse d’andare via di casa”. Un Dio che si guadagna “il pane con le reti”, in grado di mandare “su tutte le furie lo sbruffone di Lucifero ” e che “in mille giorni rimise mano al terrestre”, dando il via a “una strana faccenda che ancor oggi aizza le folle”.
M. Pozza, San Paolo, Milano 2014
Una rilettura meditata e piena di passione dei vangeli, dell’inesauribile sorpresa che racchiudono, dell’imbarazzo che suscita il Dio che in essi sceglie gli ultimi per farne destinatari dell’amore più grande. Un sussurro d’anima che si legge con il pudore di una confidenza e lo stupore di una poesia di vita e di speranza. Sfavillano d’una luce tumultuosa e selvaggia: nel mattino scarmigliato di Nazaret e in quello arruffato di Cafarnao, come nel meriggio riluttante del Golgota e in quello lento di Emmaus. Su trame tormentate, una ciurma d’umani dispiega un’avventura profondamente e disperatamente seria, quella dell’essere braccati dal Cielo: sorpresi dalla Grazia, sorprenderanno la disgrazia. Tra vigne dorate, confusione di popoli e palme di dattero, un anticipo d’Eterno su trame d’imbarazzo. Il Cielo li sorprese acquartierati sulla soglia del loro daffare quotidiano: pescatori, fonditori, tessitori e portatori d’acqua. Coloro che in essi s’imbatterono dopo quell’incontro li annusarono col rossore sulle gote e la fretta come mantello: imbarazzati e imbarazzanti. Tutto cominciò a Nazaret, un pugno di capanne fatte con l’argilla secca: “Lo chiamerai Imbarazzo”. Un giorno si fece carne e scompigliò la storia. Imbarazzandola nel colorato bailamme di periferia.
M. Pozza, Edizioni CVS, Roma 2013
Sono pagine imbarazzanti quelle dei Vangeli: le pensi a tuo favore e le scopri disgustose, le immagini quiete e docili e le avverti indomabili e fastidiose, cerchi di portarle dalla tue parte e ti scappano sempre in direzione contraria. Come quella pagina che racconta del grano e della zizzania. Gli apostoli vorrebbero estirpare la zizzania, il Maestro li sorprende: “lasciate che crescano assieme”. Perchè la preoccupazione di Dio è che, strappando la zizzania, non venga strappato del frumento buono. O come in quel primo mattino dentro il campo: c’era un fico che non portava frutto. Perchè perdere ancora tempo: “da tre anni vengo cercando frutti e non ne trovo. Taglialo!” – è il comando del padrone. Fosse per lui di quel fico farebbe volentieri una catasta di legna. Ma il contadino lo spiazza: “lascialo ancora un anno: con maggior cura le zapperò attorno, la concimerò e la poterò”. Ancora un anno, padrone: ancora un giorno, ancora sole, pioggia e lavoro: quest’albero è buono e forse porterà frutto. Che è come dire: Dio non si è ancora stancato di provarci con te, si è messo alle tue calcagna, ti sta dando la caccia come un innamorato che è ancora lungi dal rassegnarsi. C’è che Dio è geloso di te all’ennesima potenza: nel suo cuore c’è sempre un anno in più a disposizione, non vuole perderti per nessuna ragione.
M. Pozza, San Paolo, Milano 2012 (pref. di Alex Schwazer)
Nel cuore di Roma un ex meccanico, appassionato di atletica, riesce in una sfida che ha dell’inverosimile: aprire le porte dell’annuale Maratona di New York a un gruppo di giovani writers ai margini della società.
Un’avventura esaltante, ritmata dalla fatica dell’allenamento e dalla creatività dell’impegno di pensarsi oltre la disfatta.
Perché le sfide amano la cenere delle sconfitte.
M. Pozza, Marietti Scuola, Novara 2011
Luca, un ragazzo orfano cresciuto dal nonno, ha un grande sogno: diventare un campione di ciclismo. A un passo dalla gloria, però, la passione s’infrange e il giovane si rifugia nella “compagnia della lucertola”: è l’inizio del dramma. Vinto nell’anima, privo di sogni e di desideri, Luca aggredisce in modo violento un suo compaesano e subisce una pesante condanna. Ma proprio dalla comunità di paese, che chiedeva giustizia per il tentato omicidio, giunge una possibilità di riscatto. Chi sbaglio deve scontare la pena, ma ha il diritto di essere riabilitato.
Un viaggi odi emozioni e di passioni dentro il mondo giovanile; una sorta di ribellione e di riscatto nei confronti del conformismo che divide il mondo in “geni e somari”, “credenti e apostati”. Un appello alla forza interiore di ciascuno perchè alla fine la penultima posizione è il punto di partenza ideale per chi sogna la rimonta.
«Contropiede non è soltanto una bella storia, ma è soprattutto un invito giovane a credere nello sport come palestra per diventare uomini felici» (dalla prefazione di Alex Schwazer).
M. Pozza, ISG 2010 (pref. di Mons. GianCarlo Maria Bregantini)
L’autore in quest’opera, partendo dalla reale esperienza del distacco dei giovani dalla pratica religiosa, tenta di decifrarne le motivazioni, di scrutare il fenomeno partendo dall’interno del disagio giovanile, per proporre alcuni suggerimenti di soluzione. Scritto in forma molto brillante e accattivante, il contenuto è profondo, argomentato e riccamente documentato.
«Questo è un libro fatto di tenerezza, ma soprattutto scritto a cuore aperto, utilissimo per capire il linguaggio dei giovani, per decodificarlo senza paura, scritto con quella leggerezza che viene dallo Spirito, come il vento dell’Est, che scompagina i capelli offrendo la brezza provata da profeta Elia.
I giovani, li ami e poi li capisci, perchè – come amava dire san Giovanni Bosco – “l’educazione è una cosa del cuore” così che “amando quello che i giovani amano, essi ameranno quello che noi amiamo.”. Grazie a don Marco per le sue provocazioni. E le sue risorse» (dalla prefazione di mons. GianCarlo Maria Bregantini)
M. Pozza, ISG, 2010
Questo testo è un viaggio: inizia nella carta e s’ingigantisce nel web. Ha un destinatario: per chi crede nella vita. E una segnaletica stradale: indicare la Risurrezione. Perché il desiderio suicida di un giovane è la fine di un sogno. Ma anche l’inizio di una rinascita: dipende dalle prospettive. La presentazione è di Alessandro Zanardi, ex pilota di Formula1.
Questa appassionata nota di don Pozza, cappellano del carcere di massima sicurezza “Due Palazzi” di Padova, richiama un aspetto significativo di quell’attenzione privilegiata che papa Francesco sta mostrando per le “periferie esistenziali”: il mondo delle carceri. Esso si trova di fatto ai margini della vita sociale e della consideraizone nelle nostre counità. Il comportamento e le parole di Francesco invitano piuttosto a farsi prossimi a questo universo così difficile, per suscitare in coloro che vi consumano i prorpi giorni la speranza di una nuova vita: «Nessuna cella è così isolata da escludere il Signore».
La drammatica realtà del sovraffollamento delle carceri italiane rappresenta una vera emergenza umanitaria e chiede a gran voce una pronta soluzione. C’è tuttavia un secondo e più profondo livello del problema: «Esistono gli uomini malvagi ma quelli infelici sono in numero molto maggiore: sono questi ultimi a sovraffollare il carcere e a gridare la voglia di essere ri-educati». Don Marco Pozza, giovane sacerdote della diocesi di Padova, si propone con questa riflessione di favorire nel lettore uno sguardo positivo, che permetta di comprendere quanto di straordinario può accadere nel chiuso di una cella, ove il trauma della detenzione diviene occasione di uno scavo in profondità e di riprogettazione dell’esistenza. Cambiamento che in qualche misura interpella le comunità cristiane, poiché il detenuto, dopo l’espiazione della pena, necessita di un contesto accogliente; infatti, «laddove un uomo o una donna una volta usciti non troveranno una porta aperta o una mano tesa, non rimarrà loro altra chance che ribattere le vecchie strade». Offrire motivi di speranza a chi è a corto di alternative: potrebbe essere questo il vero aiuto che una parrocchia offre al mondo sommerso del carcere.
La storia di Davide e Golia viene riletta da don Marco Pozza, giovane sacerdote della diocesi di Padova, come un’istruttiva metafora dentro la quale rispecchiare la sfida del ministero in questo tempo di radicali cambiamenti, nel quale la fede fatica a prendere parola e quindi a immaginarsi nell’azione. In quella vicenda balza agli occhi lo scarto tra l’umanità di Davide e il compito assegnatogli da Dio, che sembra trascenderlo e travolgerlo. L’evidente sproporzione che abita la distanza tra la sfida di Dio e la percezione che l’uomo ha delle sue capacità è la medesima che getta a volte il ministro in uno stato di paura, di angoscia e di smarrimento, dal momento che non sa il come di una risposta, sovente paralizzata dai ‘giganti’ nemici. Eppure, suggerisce don Pozza, il segreto dell’azione è il medesimo oggi come allora, sta nell’«inimmaginabile forza della debolezza»: «Inesperti e incapaci – e pure nel fondo magari un po’ delusi da se stessi – nulla toglie al ministro di oggi la certezza che è in quello scarto esistenziale che abita il segreto e la segregazione che Dio ha preparato per i suoi scopi. Imparare a leggere quella ‘zona di frontiera’ è abitare una terra santa, dove i sandali devono essere levati perché c’è una grammatica nuova da apprendere per imparare a camminare».
Torniamo a riflettere sull’annuncio dell’evangelo alle nuove generazioni, lo esige il tema, a motivo del radicale mutamento di contesto e di linguaggi che la ‘rivoluzione digitale’ ha promosso nella cultura giovanile. L’appassionato studio di don Marco Pozza, giovane presbitero della diocesi di Padova, disegna provocatoriamente il nuovo scenario dell’evangelizzazione, simile alla navigazione in mare aperto, disponibile a veloci tattiche più che a ingombranti strategie. Si tratta di una nuova forma di percezione del mondo, che tende a rispecchiare le dinamiche comunicative sperimentate sul web, percepite come estranee e inquietanti dagli schemi della pastorale più consolidata, eppure da affrontare, poiché anche questa parte di umanità ha tutto il diritto di sentirsi annunciare la Parola che salva. Don Pozza suggerisce al lettore alcune linee che permettono di intuire come ricreare e riaggiornare in diretta l’alfabeto che addita al Cielo: impiegare un linguaggio rapido, denso di immagini e metafore, agire per veloci scorribande tattiche, privilegiare il lato estetico dell’annuncio: «La vittoria tra rilevanza e irrilevanza potrebbe giocarsi sul potere fascinoso della Bellezza: sull’annuncio di un Dio in forma attraente che seduca, sorprenda, provochi e incanti. Il post-cristianesimo sta segnalando l’insufficienza della verità e della bontà di Dio. Reclama una veritatis splendor».
(Abstract) La riflessione di don Marco Pozza, giovane prete della diocesi di Padova e appassionato maratoneta (se ne può consultare il sito www.sullastradadiemmaus.it), invita a riscoprire il valore educativo della pratica sportiva, che mostra indubbie analogie con l’educazione alla fede: si tratta di un’educazione che corre per certi versi parallela, «almeno quando l’obiettivo è quello di preparare le disposizioni interiori, le fondamenta sulle quali poi poggiare e realizzare il progetto architettato. La dimensione sportiva spartisce con l’atto di fede quell’ordine del cuore che è necessario tanto per fare di un buon ragazzo un possibile campione quanto per fare di un giovane fedele un possibile santo». L’ordine del cuore evocato in queste pagine è il terreno propizio alla ricomposizione di interiorità disperse e frammentate, come spesso sono quelle dei giovani oggi, e per rendere possibile anche a loro l’ascolto dell’Eterno che chiama.
(Abstract) Anche questa seconda parte dell’articolo di don Marco Pozza evidenzia una profonda conoscenza del mondo giovanile insieme ad una sapiente riflessione esistenziale.L’attenzione viene qui concentrata su due ‘liberazioni’ invocate dalla condizione giovanile: liberazione dal tempo e dall’ambiguità del gesto. Infatti «la questione del tempo si rivela tutt’altro che secondaria al fine di sanare l’immaginazione giovane ferita e riscoprire l’importanza dell’affectus verso Dio», e insieme – si interroga l’Autore in relazione alla gestualità – come è possibile «spiegare l’abbraccio con cui si firma il segno della pace a giovinezze abituate ad abbracciare tutto, tutti e ovunque?». Facciamo nostro l’augurio conclusivo del saggio, che ne ribadisce anche la tesi di fondo: Dio «non è stato dimenticato: questa è la consolante notizia. È stato offuscato: ripulirlo è la sfida stilistica per un cristianesimo d’azione e convinzione».
(Abstract) Negli ultimi mesi abbiamo ospitato sulla Rivista diversi contributi che da differenti angolature hanno cercato di scandagliare i mondi giovanili, tendenzialmente estranei all’universo della fede cristiana. Il saggio che qui pubblichiamo arricchisce l’esplorazione della prospettiva empatica di un giovane sacerdote padovano, don Marco Pozza, il cui punto di vista risulta particolarmente prezioso perché unisce prossimità anagrafica e distanza critica, esperienza condivisa e riflessione critica. La grande sensibilità dell’Autore conferisce allo scritto la capacità di parlare efficacemente dei giovani, ma suggerisce pure un linguaggio col quale intendersi e comprendere le nuove generazioni. Capire – sottolinea l’Autore – che la corretta forma di relazione non può che essere «uno stile di pastorale ospitante», profondamente rispettosa dell’identità altrui, e tesa come un giocatore di scacchi a indovinare la mossa che possa aiutare loro a semplificare la lettura della vita, accogliendo così quel grido che, «tacitamente ignorando, ci stanno lanciando con la loro apostasia silenziosa: liberateci!». In questa prima parte dell’articolo don Pozza, dopo un’introduzione generale, si sofferma sulle patologie della parola nell’universo giovanile odierno e sui possibili rimedi. Sul prossimo numero l’autore approfondirà le dimensioni del vissuto temporale e della gestualità.
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